la Repubblica, 23 febbraio 2018
Il ritorno di Fabio Caramel. «La normalità è preferire un trapianto a un gol»
SPINEA «Grande Fabio, siamo famosi», gli urla qualche compagno prima di entrare nello spogliatoio. Eccolo lì Fabio Caramel, di nuovo in campo ad allenarsi, venti giorni di stop dopo aver giocato, il 12 febbraio, quella che è stato facile chiamare la sua partita più importante.
Anzi, la sua “fortuna”, come ripete spesso con il sorriso questo ragazzo di 25 anni, difensore centrale dello Spinea – campionato di Promozione – faccia da bambino, corpo da statua greca e cuore immenso, che due domeniche fa ha rinunciato alla partita contro la capolista Arcella per andare a Verona a donare il midollo osseo a una sconosciuta. E salvarle così, forse, la vita.
Qui, sul campo di via Unità – poca erba e molto fango – non lontano dalla vecchia via Miranese che collega Mestre a Padova e che taglia in due Spinea, l’allenamento è un po’ più affollato del solito. «“Fabio mi ha avvisato della sua scelta qualche giorno prima dell’intervento», spiega Mario Scopece, il presidente. «Gli ho fatto i complimenti. Vorrei far crescere il settore giovanile, che la squadra sia un progetto educativo. Il suo gesto può essere un messaggio per i più giovani».
Grande festa dai compagni, supporto incondizionato dalla società. «Mi sono stati vicini», racconta Fabio. «Hanno capito la situazione e hanno dato più importanza alla persona che al calciatore. Credo di avergli trasmesso io stesso tranquillità, normalità. Anche se stavo facendo una cosa così grande».
Fabio, partiamo dalla fine. Si aspettava questa attenzione?
«Non me l’aspettavo. E devo dire che mi sento anche un po’ in colpa: ci sono tantissime persone come me che decidono di fare i donatori, ma restano nell’anonimato. Il mio caso è finito alla ribalta solo perché sono un calciatore».
Da quanto tempo è un donatore?
«Da quando ho 18 anni. Poi, dopo quasi sei anni, è arrivata la telefonata con la quale mi avvisavano che c’era una persona compatibile».
Cosa è successo?
«Non ci ho pensato due volte.
Trovare una corrispondenza è una cosa straordinaria, le statistiche dicono che c’è solo un donatore compatibile ogni centomila. E ora la persona che ha ricevuto il mio midollo avrà l’85% delle possibilità di salvarsi. Cinque giorni prima dell’intervento mi hanno somministrato un farmaco per far crescere le cellule e farle arrivare “pronte” al momento della donazione».
Com’è stato il ritorno in campo?
«Eh, fatica! Dopo venti giorni di riposo è stata un po’ dura».
Da quanto gioca a calcio? E che cos’è per lei?
«Ho cominciato a 5 anni. Giocare è una passione sana, il pallone è sempre stato presente nella mia vita. È amicizia, passione, uno sfogo personale da condividere con gli amici. Ma è solo uno sport e basta. Ho il mio lavoro – a Marcon, dove vivo – in un’azienda di verniciature assieme ai miei: una tipica piccola impresa familiare del Nordest».
In molti hanno detto che il suo gesto è stato come segnare un gol importante.
«Eh, il paragone veniva facile. Io preferisco vederlo come la mia donazione più grande e non come un gol».
Domenica si gioca contro la terza in classifica, fuori casa. «Fabio sarà in campo come sempre», garantisce l’allenatore, Maurizio Bedin. «Dopo l’allenamento era a pezzi, ma si rimetterà in forma: è un ragazzo che non molla mai. Il suo è stato un gesto bellissimo, fatto col cuore. È la vita, e viene prima di tutto. E poi chissà, magari domenica si sblocca e segna».