la Repubblica, 23 febbraio 2018
«Dal Sahara al Polo così cambia Airbnb». Intervista a Joseph Zadeh, 34 anni, inventore delle «esperienze»che hanno rivoluzionato il nostro modo di viaggiare
SAN FRANCISCO Dieci anni fa, in un insonne appartamento in Rausch street, tre giovanissimi lanciarono una fragile piattaforma per affittare materassi gonfiabili (Airbed) con tanto di cereali per la colazione (and b, come breakfast). Oggi, dopo mille difficoltà, l’idea di Brian Chesky, Joe Gebbia e Nathan Blecharczyk è diventata Airbnb, un colosso con un fatturato di oltre 2 miliardi e mezzo di dollari, più di 3mila dipendenti e un quartier generale di loft vintage e post-industriali qui al numero 888 di Brannan street a San Francisco. Ieri, in una conferenza stampa, fresche novità: nuove categorie di alloggi (spunta il lusso), inedite collezioni di case (lavoro, vacanza) e Airbnb plus, ossia case certificate direttamente dallo staff.Airbnb, dove centinaia di milioni di utenti in tutto il mondo affittano ogni giorno non più materassini gonfiabili ma stanze, appartamenti, soppalchi, chalet, bungalow, ha davvero cambiato il turismo contemporaneo e l’esperienza del viaggio? «Sì, perché noi mettiamo al centro l’essere umano», spiega, nel tipico linguaggio sbrigativo della Silicon Valley Joseph “Joebot” Zadeh.Figlio di iraniani, ha 34 anni ed è stato uno dei primi dieci ad essere assunto da Chesky e Gebbia. Oggi è il vice presidente della sezione Trips e cura le “Experiences”.Cosa sono le “esperienze”? E perché ci puntate tanto?«Perché vanno fortissimo. Qualche anno fa ci siamo chiesti: perché al soggiorno non aggiungiamo attività organizzate spontaneamente dagli autoctoni? Cosi nel 2016 abbiamo lanciato le “experiences”, dall’imparare a fare la pasta, ad andare a caccia di tartufi, dall’artigianato locale ai riti del tè in Giappone. Ad aprile sarò in Italia: nelle tre città dove sono già previste le esperienze, Roma, Firenze e Milano, le cose vanno benissimo: allargheremo il programma a tutta la Toscana e Napoli».Qual è il motivo di questa grande risposta?«Sono attività concepite e guidate dalle comunità. O meglio, dalle persone. È questa la chiave del turismo di domani. La comunità ti dà un accesso talmente profondo e appassionato alla cultura e alla storia che nessuna agenzia turistica o albergo potranno mai raggiungere. Il viaggio non è solo turismo di massa, è anche passione e lo sarà sempre di più nei decenni prossimi. Questo è il futuro».Mettere al centro l’umanità nell’era dell’invasione dei robot.Una bella sfida.«Lo è. Nella Silicon Valley molta tecnologia sta sostituendo le persone. Noi rimettiamo le persone al centro: diffondere la propria passione per l’arte, il cibo sono cose che i robot non potranno mai fare».È anche per questo che avete lanciato le esperienze “social impact” per una giusta causa? A Firenze c’è una “experience” per recuperare aree verdi abbandonate, a Roma si può fare volontariato archeologico.«Sì, ma su queste attività sociali noi non guadagniamo un euro, mentre le associazioni hanno raccolto 10 milioni di dollari in un anno. Ma non ci fermiamo qui».Cosa avete in mente adesso?«Passare dalle “esperienze” alle “avventure”: camping di una settimana nel Sahara, un giro in barca al Polo Nord. Gli host possono fare tutto».Airbnb l’ha conquistata perché qualche anno fa la fece entrare in una casa del suo amato Frank Lloyd Wright. Poi come è stato assunto?«Il mio colloquio durò 15 ore. Mi fecero parlare con tutti in ufficio.Pensavo fossero persone influenti, poi scoprii che metà erano stagisti...Chesky a un certo punto mi chiese che superpoteri mi piacessero, io ho risposto “teletrasporto”. Poi il ritornello musicale preferito e io scelsi “Boogie Oogie Oogie” dei A Taste of Honey. È stato bizzarro ma mi sono sentito subito a casa».Anche lei fa gli stessi colloqui?«No. A me interessa che i candidati abbiano due qualità: un lato particolare che non abbiamo in azienda poiché la diversità è sempre un plus, ma allo stesso tempo che rispetti i nostri valori. È per questo che saremo sempre contro il Muslim ban o altre uscite di Trump. Per nostra esperienza, le culture devono incontrarsi, separarle è un grave errore».