la Repubblica, 22 febbraio 2018
In Slovacchia, il paradiso delocalizzato. «Ma noi operai sogniamo di andar via»
SPISSKA NOVA VES Qualcuno dice che è la fabbrica “gemella” di quella che la multinazionale ha ereditato a Riva presso Chieri. Ma in realtà il maxi stabilimento di Spisska Nova Ves, Slovacchia profonda, è molto diverso: decisamente più moderno, con il suo ingresso grigio e verde, gli operai sono più giovani, costano molto meno e sono quasi cinque volte i 500 italiani che ora rischiano il posto.
È qui che la Embraco ha creato ciò che tra pochi mesi diventerà il suo unico e grande polo europeo per la produzione di compressori per frigoriferi. L’impianto è nato a inizio anni 2000, proprio mentre il gruppo brasiliano rilevava la fabbrica torinese. Da quell’anno, Riva presso Chieri ha iniziato a scendere sempre di più, fino all’ormai imminente chiusura, mentre Spisska si ingrandiva, fino ad arrivare agli attuali 2.300 dipendenti.
Qui in Slovacchia pochi operai hanno voglia di fermarsi davanti ai cancelli, meno ancora sono quelli che parlano italiano.
Lavorano per l’impresa più grande di quest’area, anche se fino a poco tempo fa non tutti ne erano entusiasti. «Il sogno di molti è andare all’estero, oppure restare qui e andare alla Panasonic, che paga meglio», dice una tuta blu mentre scappa via nel nevischio.
La paga minima nel paese è sotto i 400 euro, ma un operaio industriale prende in media 700-800 euro grazie agli aumenti ottenuti dopo recenti scioperi.
Nella regione di Kosice, quella della Embraco Slovakia, i salari medi della popolazione sono lievitati da 716 euro al mese nel 2010 fino a 947 euro del 2016. È la prova che si stanno allineando a quelli europei (un operaio italiano prende in media tra i 1.500-1.700 euro) e che sul lungo periodo si arriverà alla parità.
Sono comunque questi numeri ad aver spinto le multinazionali a puntare sulla Slovacchia.
Embraco è stata una delle prime, ma negli anni sono arrivate pure Magneti Marelli, Jaguar, Lenovo, Basf, Siemens, Samsung, Volkswagen. Il costo del lavoro è basso e poi c’è l’“investment aid” offerto dal governo, che arriva a coprire fino al 35% degli investimenti di chi decide di scommettere su questo Paese dell’Est Europa.
«Se vogliamo investire sull’avvenire e sul capitale umano, non possiamo permettere che all’interno dell’Ue ci siano forme di dumping fiscale e sociale», ha ribadito ieri il premier Paolo Gentiloni. È un tema che l’Europa pare essersi decisa a trattare: «I fondi europei devono essere usati non per trasferire posti da uno Stato membro della Ue a un altro, ma per crearne di nuovi», ha spiegato ieri la commissaria Ue alla concorrenza Margrethe Vestager. È presto però per parlare di sanzioni: «Abbiamo chiesto per un paio di casi informazioni e fino a quando non le avremo non potremo pronunciarci, ma stiamo prendendo la questione seriamente perché sono coinvolte risorse dei contribuenti europei», ha detto Vestager.
Eppure in questo enorme “scatolone” che in questi giorni è immerso nella neve c’è molta Italia. «Il 90% dei prodotti derivano da brevetti della Fiat Aspera», racconta Paolo Donerà, operaio all’Embraco di Riva di Chieri. L’Aspera era il vecchio nome della sua azienda, prima che passasse alla Whirlpool e poi ai brasiliani. Lui è stato qui nel 2007: «Ero andato ìn Slovacchia per aggiustare una linea e per fare formazione ai giovani operai.
Ricordo una fabbrica pienissima, caotica. Ogni giorno c’era gente che veniva licenziata e altri che venivano assunti», dice la tuta blu torinese. Ora in Piemonte aspettano un nuovo proprietario: al ministero dello Sviluppo ieri c’è stato un primo confronto con due imprese interessate a subentrare ai brasiliani. Una è italiana l’altra straniera. All’inizio della prossima settimana si capirà se si è aperto uno spiraglio.