la Repubblica, 22 febbraio 2018
Arrestato a 16 anni per tentato furto, 45 anni dopo è ancora dentro
Milano Santo Tucci non ha mai guidato un’auto. Non ha mai votato, né pagato un affitto. È stato arrestato sedicenne, nel 1973, per il tentato furto di uno pneumatico. Da allora, non ha trascorso un solo giorno da uomo libero. Oggi ha 61 anni. Una vita dentro. Prima al minorile di Catania, poi nelle carceri speciali. Per cinque anni, negli Ottanta, non ha incontrato che guardie. Per 24 mesi non si è visto in volto, non avendo specchi né in cella né in bagno. È stato un “braccettaro”, inquilino dei “braccetti della morte”, prova generale del 41 bis. Oggi lavora ma la notte torna in cella a Bollate. Se il presidente della Repubblica non accoglierà la domanda di grazia, presentata con il suo avvocato Daniele Barelli, sarà recluso fino al 2026. Sulla sua storia di carcere e redenzione sono state scritte tesi di laurea.
Nella memoria inviata a Sergio Mattarella, Tucci scrive: «Sin da piccolo ho infranto le regole civili. Non do responsabilità alla società. Sono artefice del mio passato. Ho vissuto anni di lucida follia». Paga un cumulo di pena sedimentato a forza di rivolte, fughe, omicidi tentati, uno portato a termine. Reati antichi, commessi in galera o nelle parentesi di permesso diurno. Non si fa sconti: «Ho commesso atti violenti, quando il penitenziario era palestra di rivolte sociali, come le fabbriche, le università, le piazze». Racconta la «giungla selvaggia chiamata carcere speciale», in cui «si stringevano alleanze forzate fra detenuti comuni e politici». Torino, Ariano Irpino, Foggia, Spoleto, Trani. Isolamento, sorveglianza a vista 24 ore su 24, niente colloqui, né scarpe ai piedi. Così prevedeva l’articolo 90 aggravato del decreto 345 /1975, mai convertito in legge.
Dal carcere di Catania, ragazzino, fugge. Lo prendono dopo tre giorni. È un pessimo detenuto. Nel 1978 è fra i 18 carcerati considerati più pericolosi del Paese. «Eravamo rovinati dalla galera, ergastolani senza speranza. La banda Vallanzasca, i genovesi, gli zingari. Terroristi rossi e neri, che parlavano di esplosivi e politica». L’ossessione era fuggire. «Convincevamo le guardie di essere colpevoli di reati mai commessi. Minacciavamo i giudici. L’obiettivo era farsi processare. Le udienze erano occasioni per tentare la fuga». Tucci viene accusato dell’omicidio di Francis Turatello, ucciso in carcere a Nuoro nel 1981, ma nel 1985 è assolto. Si incolpa poi di un accoltellamento. Ergastolo in primo grado, assoluzione in appello.
Nel 1987 a Voghera partecipa a uno sciopero della fame di 33 giorni. Con altri undici, fonda il rivoluzionario Collettivo Verde. Gli “irrecuperabili” creano cooperative teatrali. Santo lavora il vetro. Nel 2002 a San Vittore regala a Carlo Maria Martini un suo ritratto. Sempre a Milano, insegna l’arte a «giovani ai margini, schiavi di alcol e droga». Sue opere vengono esposte negli showroom di Prada. Vince il Panettone d’Oro dei comitati di quartiere milanesi. Nel 2003 lo premia Valter Vetroni, sindaco di Roma, per una scultura in solidarietà ad Amina Lawal, nigeriana condannata alla lapidazione per adulterio. «Guardo avanti. Non si torna indietro. Non è quello che mi chiede la società», dice. Fisico asciutto, quando non plasma il vetro veste in abito. Ha occhi piccoli, immobili quando torna agli anni dell’incubo. Vivacissimi, quando legge le relazioni della direzione di Bollate. Lì conoscono il Santo Tucci di oggi, un uomo «trasparente e responsabile», che ha «intrapreso una revisione critica del proprio passato».