La Stampa, 22 febbraio 2018
Torre Angela dai 5 Stelle ai fascisti. Viaggio nella periferia romana tra materassi, immondizia, stranieri e slogan
«Per un mondo più pulito, rivogliamo in vita zio Benito». È la ricetta magica di Torre Angela, quartiere della periferia est di Roma, quella che risolve ogni male, che riporta indietro le lancette del tempo, fa arrivare di nuovo i treni in orario, pulisce le strade, restituisce le case e tutta l’Italia agli italiani. È il fascismo della porta accanto che sta prendendo piede con i suoi simboli che a tanti non sembrano affatto pericolosi o incostituzionali.
Nelle strade di Torre Angela si susseguono materassi e scritte in caratteri neri e gotici, sacchetti di calcinacci abbandonati in spregio di ogni norma e disegni con il Duce che salverà tutti dalla fine. Ci sono anche le campane di plastica verde da riempire con bottiglie e altri rifiuti in vetro come nelle città di tutto il mondo ma qui sono tagliate di netto. Dall’interno colano tutt’intorno rivoli di bottiglie, cartoni, sacchetti di plastica pieni di chissà che cosa. È così ovunque vi sia una campana di rifiuti da sventrare, un angolo di strada libero da auto, un’aiuola più spoglia di altre.
Le campane verdi sventrate segnano il confine tra il mondo emerso e quello sotterraneo e clandestino che ha trasformato questa periferia in una delle polveriere di Roma, dove lo Stato ha fatto tre passi indietro e i neofascisti quattro avanti. Se alle ultime elezioni comunali qui Virginia Raggi ha sfiorato l’80 per cento delle preferenze, dopo quasi due anni di amministrazione pure il Movimento Cinque Stelle è stato archiviato come l’ennesima occasione persa. Alle prossime politiche ci si aspetta il balzo in avanti dell’estrema destra, l’ultima speranza di chi ormai considera la politica soltanto come una sequenza di dispensatori seriali di inutili promesse.
«L’Ama non passa da un mese ma non è colpa sua se siamo messi così», spiega Anna, insegnante con cattedra di ruolo in una scuola a pochi chilometri da qui. Ha acquistato casa molti anni fa quando a Torre Angela non si arrivava ancora in metropolitana ma la vita aveva i ritmi tranquilli delle vecchie borgate tirate su tra abusivismo e sudore da chi arrivava dall’Abruzzo, dal Molise, dalle Marche per cercare fortuna nella capitale. Nel 1978 furono costruite le case popolari, la borgata aumentò ancora. Oggi ha oltre 80 mila residenti ufficiali, quanto un capoluogo di provincia come Treviso, Como o Varese. Ma supera di gran lunga i 100mila abitanti se si calcolano tutti quelli che vivono nelle abitazioni del quartiere.
«Sono tutti immigrati, tutti irregolari – racconta la signora Anna – Come lo si capisce? Dai rifiuti, ovvio! I nostri, che siamo residenti, sono qui da un mese nei contenitori forniti dal Comune. Prima o poi l’Ama passerà e li vuoterà ma nel frattempo li lasciamo nei cortili oppure li mettiamo dentro casa quando ci rendiamo conto che non sono passati a ritirarli. I clandestini invece non hanno alternativa: prendono una busta di plastica qualsiasi e buttano dentro tutto quello che hanno, in modo indifferenziato e lo lasciano dove capita».
È così che le campane sventrate circondate da montagne di rifiuti diventano il segnale della resa di uno Stato che ha non è riuscito a evitare che migliaia di richiedenti asilo usciti fuori dai circuiti dell’accoglienza ufficiale rimanessero sul territorio italiano creando un esercito di persone inesistenti sotto un profilo ufficiale ma ben presenti quando si va a contare il numero di coloro che dormono all’aperto o di chi per guadagnarsi da vivere deve per forza superare il muro della legalità.
«Li vedi quei cancelli? Le vedi quelle finestre chiuse? Lì ai piani bassi abitano solo immigrati, gli italiani sono andati via, vengono solo a riscuotere l’affitto in nero. In una stanza dormono anche in cinque. Pensa quanto ci guadagnano», racconta Edyta, cameriera di uno dei bar della zona, romena, che prima di imparare a usare la macchina del caffè ha dovuto farsi insegnare le parole necessarie per tenere a bada i maschi di ogni etnia e religione. Alle sette di sera ce ne sono tre nel bar, tutti ubriachi. Urlano insulti contro quelli che organizzano manifestazioni anti immigrati. Si sostengono a vicenda, escono in strada. «Siete delle m...», gridano.
La strada è vuota, a Torre Angela da anni non si passeggia più né di giorno né di sera. Le voci dei tre uomini si perdono nella notte, un urlo nel vuoto. A pochi metri appare l’ennesima discarica creata da materassi, sacchetti di materiale da costruzione, oggetti di plastica. A volerla dire tutta, sarebbero rifiuti da italiani ma da queste parti si va poco per il sottile, i rifiuti sono per definizione portati dagli stranieri e c’è un’unica soluzione: «Fascismo!», come è scritto nello slalom tra materassi e siringhe delle strade del quartiere.
«Preferisci un mondo popolato dagli stranieri? – chiede Jessica, diciotto anni, al voto per la prima volta fra meno di un mese e nessun dubbio su chi sceglierà. «A casa abbiamo le foto di com’era Torre Angela trent’anni fa. Mia madre mi racconta i sacrifici dei genitori per costruire la casa e per farla studiare. E ora dobbiamo regalare tutto questo a loro? Che me frega se sui muri ci sono il Duce o chissà che altro, se ci possono restituire una vita tranquilla meglio i fasci».
Intorno a Jessica ci sono altri sei ragazzi della sua età. Annuiscono in una delle tante sere di freddo e vuoto. Il loro appuntamento è al parco dove sono cresciuti. Ci sono i giochi di quando erano piccoli, le altalene e gli scivoli. Mancano le luci ma di questo angolo di mondo conoscono ogni centimetro, possono dondolarsi anche a occhi chiusi. «E poi, visto così, è anche più bello», sussurra Pamela. Non ci sono le stelle, troppo traffico e luci lontane. Nell’aria c’è odore acre di plastica bruciata che impregna i vestiti e secca la gola. Forse ha ragione Pamela, meglio non vedere. Soprattutto quando due ragazzi si appartano e una fiammella luminosa irrompe nel buio seguita da una nuvola di fumo. Per cogliere un odore non c’è bisogno di vedere, basta avere un naso. Quello che si sta spargendo nel parco è odore di hashish, quella che sta passando di mano in mano è una canna. E chi ha venduto l’erba era uno dei clandestini dei primi piani delle case di Torre Angela. Ha davvero ragione Pamela: meglio che le luci siano spente, meglio vedere solo quello che si conosce già.