Il Sole 24 Ore, 22 febbraio 2018
Tra Polonia e Italia interscambio da record. Il commercio con Varsavia ha superato l’anno scorso i 20 miliardi di euro
L’interscambio tra Italia e Polonia ha superato i 20 miliardi di euro, per la prima volta nel 2017. Con 10 miliardi di esportazioni verso l’Italia e con importazioni per 10,7 miliardi, il Paese esteuropeo vale più del Giappone e della Russia, più del Brasile e della Turchia, due volte e mezza tutti Balcani messi assieme.
Sono in tutto 3.741 le imprese di proprietà di gruppi italiani attivi nella maggiore economia dell’Europa centro-orientale, per un investimento complessivo di dieci miliardi di euro e quasi 100mila dipendenti, come risulta dal report dal Centro studi della Camera di Commercio italiana in Polonia. «Tuttavia, l’importanza delle relazioni con Varsavia è spesso sottostimata. E l’Italia soffre per la pressante diplomazia economica messa in atto con costanza soprattutto da Germania e Stati Uniti», spiega l’ambasciatore d’Italia a Varsavia, Alessandro De Pedys.
L’economia polacca ha dimostrato di avere grande stabilità e di sapere resistere ai cambiamenti politici. La destra nazionalista, tornata al governo da due anni, è in aperto contrasto con la Ue ma la Polonia resta il primo beneficiario dei fondi europei, un elemento chiave della sua solidità. Il leader ultra-conservatore Jaroslaw Kaczynski ha imposto una sorta di Polonia first senza tuttavia fare danni in economia: nell’ultimo anno il Pil è cresciuto del 4,6%, sfruttando la forza della domanda interna e la ripresa dei grandi partner occidentali. Mentre il piano di sviluppo, predisposto dal premier Mateusz Morawiecki, pur peccando di dirigismo, ha il grande pregio di spingere sull’innovazione: dopo il forte calo del 2016, sono aumentati del 5,4% gli investimenti nelle costruzioni, nelle infrastrutture e nei macchinari.
«Le relazioni economiche tra Italia e Polonia – spiega Donato Di Gilio, direttore del Centro studi della Camera a Varsavia – sono in costante crescita e la forza delle imprese italiane nel Paese è sorprendente. La Polonia, anche a causa delle politiche dell’attuale governo, non mostra al mondo tutte le sue potenzialità. Anche nei confronti dell’Italia ha, se così possiamo dire, un marketing ancora non del tutto definito. È più conosciuta per i contrasti con l’Unione europea sui migranti che per le enormi opportunità economiche. Il nuovo premier Morawiecki può imprimere un cambiamento notevole anche come credibilità: il focus sulla ricerca e lo sviluppo, la nuova legge sulle Zone economiche speciali, vanno nella direzione giusta».
«Le imprese italiane – dice ancora l’ambasciatore De Pedys – trovano in Polonia condizioni favorevoli per gli insediamenti produttivi, trasparenza, fiscalità non oppressiva, manodopera di buona qualità a costi competitivi, un mercato promettente, una classe media con potere di acquisto in costante crescita, ottima assistenza da parte delle istituzioni preposte ad attirare gli investimenti. Non si può negare che la retorica nazionalista del governo attuale, gli accenti ostili agli stranieri e l’enfasi posta sulla “ripolonizzazione” dell’economia suscitino qualche perplessità, ma finora tutto questo non si è tradotto in discriminazione e i nostri investitori, soprattutto quelli del manifatturiero, non sembrano particolarmente impensieriti».
Non è più solo il costo della manodopera a spingere gli investimenti: in Polonia si è formato un sistema industriale avanzato e completo. «In settori come l’automotive e gli elettrodomestici, qui ci sono tutti i grandi produttori mondiali. E qui bisogna essere presenti se si vuole competere con loro», dice Piero Cannas, presidente della Camera di commercio italiana in Polonia. Silvio Brignone, amministratore delegato di Bitron Polonia (elettronica e informatica applicate alla meccanica), ha visto cambiare il Paese a partire dal 1997: «Fino a vent’anni fa le imprese italiane cercavano qui solo vantaggi di costo. Oggi la Polonia ha infrastrutture, logistica, una strutturata catena dei fornitori. I nostri clienti sono qui, l’indotto è impressionante. Certo, un operaio costa 8 euro all’ora contro i 25 che si pagano in Italia, ma per noi che facciamo ricerca e puntiamo sui brevetti, questo non è determinante, abbiamo bisogno di qualità e la Polonia è una garanzia. Il resto lo fanno gli incentivi e le opportunità che vengono dal governo».
Hanno impianti produttivi in Polonia grandi gruppi come Fca, Brembo, Magneti Marelli, Pirelli, Ferrero, Mapei, Marcegaglia, Cantoni, Zignago. Nelle infrastrutture, anche grazie alle risorse messe in circolo dai fondi europei, è consolidata la presenza di Astaldi, Salini Impregilo, Pizzarotti, Toto. Mentre Saipem e Maire Tecnimont sono protagonisti nell’energia e nella petrolchimica. Nella Difesa, la Polonia è un Paese chiave per Leonardo che nel 2010 ha acquistato la storica fabbrica di elicotteri Pzl Swidnik.
«Le relazioni economiche sono di grande importanza – spiega ancora l’ambasciatore De Pedys – ma il dialogo politico è sempre stato largamente inferiore alle potenzialità». «Alle imprese – afferma Cannas – serve una relazione più stretta tra Roma e Varsavia. Purtroppo, in questa fase, sembra che l’Italia abbia come priorità quella di consolidare i legami con i grandi Paesi dell’Europa occidentale. Mentre la destra che governa in Polonia ha scelto di guidare un piccolo gruppo di Paesi euroscettici, come quello di Visegrad, invece di contribuire pienamente allo sviluppo, anche economico, di tutta l’Unione».