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 2018  febbraio 21 Mercoledì calendario

La tassa Salvini contro i robot minaccia le piccole imprese

La paura è la merce più trattata sul mercato politico ed economico. Gli impresari della paura sono passati in questi ultimi anni, dal terrorismo, ai migranti e ora al robot. Era quindi prevedibile che il leader della Lega Matteo Salvini sarebbe arrivato al “Dagli al robot”, unendosi al grido di questa nuova tifoseria tecnofoba, già frequentata da una schiera di giornalisti che copiano le analisi più catastrofiste che arrivano dai ceti ricchi della new economy californiana e dalle società di consulenza più spietate nei tagli occupazionali.
In realtà il “teorema di Gates” prende spunto da un grafico del Word Economic Forum che indica che dal 2015 il costo orario di un robot eguaglierà quello di una persona. Quindi la soluzione è semplice: se i compiti di un uomo che riceve 50 mila dollari l’anno lavorando in fabbrica possono essere svolti da un robot, il robot va tassato. Guai prendere in considerazione di detassare il lavoro che in Italia ha ancora un cuneo del 10 per cento più alto del resto d’Europa. Certo, poi, che se avessimo tassato all’epoca tutti i sistemi operativi sformati dalla casa di Redmond, forse oggi Bill Gates sarebbe meno ricco e molti colletti bianchi che si sono visti cancellare il posto di lavoro dai sistemi operativi Microsoft oggi sarebbero ancora lì. Quel grafico è puramente indicativo, perché i robot cooperativi sono molto più costosi dei loro parenti nelle produzione di serie.
Solo chi non frequenta le fabbriche, non si è accorto che i robot sono tra noi da oltre 30 anni, la Fiat Ritmo aveva una produzione a fortissima automazione e robotizzazione già nel 1983. E cosa sono i robot? Gli smartphone, i registratori di cassa a lettura ottica?
Tornando alla tassa sui robot, è evidente che in un Paese come il nostro essa graverebbe in modo inversamente proporzionale alla dimensione d’impresa, già troppo piccola, e rallenterebbe la transizione verso Industria 4.0, consolidando una tendenza tutta italiana a occuparsi del paracadute prima di aver imparato a volare. Il leader della Lega lo sa che la improbabile tassa sui robot ucciderebbe le piccole imprese che per crescere e sopravvivere hanno invece bisogno di sgravi per incentivare nuove tecnologie e formare le persone come nel piano Industry 4.0?
L’idea che nel prossimo futuro le fabbriche saranno scatole vuote è quantomeno forzata. Come pure l’idea, cara ai guru della Silicon Valley, secondo cui solo il 10% della forza lavoro sarà impiegata mentre il 90% vivrà di sussidi non regge né sul versante della sostenibilità economica né dal punto di vista sociale ed etico. Pensate a un mondo con il 90% di umanità in panchina.
La relazione tra robot e occupazione, in realtà, è una partita tutta aperta, sulla quale va costruito il lavoro del domani: bisogna smetterla con i catastrofismi e pensare invece all’innovazione tecnologica come a un driver fondamentale per rimanere nella parte alta della classifica mondiale dei Paesi industriali.
Non è l’innovazione, ma la mancanza di innovazione il problema dell’industria e dell’economia italiane, a cui si somma una burocrazia barocca e le inefficienze tipiche del nostro sistema paese e un costo del lavoro elevato a cui non corrispondono egual servizi. Negli ultimi anni il manifatturiero ha visto calare di 87 miliardi gli investimenti, anche perché spesso i nostri imprenditori hanno preferito puntare sulla rendita. Il risultato è che interi settori, come l’elettrodomestico, si sono quasi estinti o sono finiti in mani straniere. Abbiamo molte aziende di livello nella robotica, gli appelli di Salvini ci rischiano, non dico di avere in futuro solo robot extracomunitari, ma comunque d’importazione.
La diffusione delle nuove tecnologie, inoltre, è particolarmente lenta tra le pmi, che rappresentano il grosso del nostro tessuto imprenditoriale e dove lavora il 90% degli italiani. Questo è uno dei motivi per cui la produttività resta stazionaria o addirittura declina. Ci vorrebbe, il nuovo contratto nazionale in questo da una mano, una cura a base di contrattazione, sia aziendale che territoriale, come la Fim sostiene da tempo, per spingere le nostre piccole imprese a investire sull’innovazione. Ma purtroppo in questo campo scalfire i conservatorismo non è facile.
Le tecnologie contengono i valori di chi le progetta, la paura aiuta solo a non giocare questa partita. Noi siamo convinti che i metalmeccanici non meritino di restare periferici nei processi di cambiamento, anche perché non vogliamo candidarli alla marginalità e ai sussidi ma al lavoro.
La tecnologia può essere un grande alleato per umanizzare il lavoro e per riportare produzioni delocalizzate da tempo. Ha ragione Salvini, è altrettanto sbagliato negare i problemi, ma credo sia molto più esaltante impegnarsi perché il lavoro “degno” sia un’opportunità per tutti piuttosto che spaventare le persone.