il Fatto Quotidiano, 21 febbraio 2018
Famiglia Sbardella. Dallo Squalo allo Squaletto: «Volevano annientarci? Eccoci»
Tutto torna. Anche l’anima di Vittorio Sbardella, in arte lo Squalo o – per i puristi – Pompeo Magno. Gli anni Ottanta li ha trascorsi a mangiarsi Roma a mezzadria con Paris Dell’Unto, socialista, er Roscio per gli amici. È domenica, la pioggia è fastidiosa, la location è tres chic: collina Fleming, maxi-gazebo con vista. Pietro Sbardella, figlio di Vittorio, dunque Squaletto, ci chiama a raccolta. Serve l’ultimo sforzo per l’ultimo miglio: dobbiamo condurlo al consiglio regionale del Lazio per il centrodestra (“Noi con l’Italia) dove nel recente passato ha dato prova di impegno. Pietro non ha le manone del suo papà e neanche le mascelle quadrate. Non fuma il sigaro, non è stato boxeur. Smilzo, timido, con gli occhialini.
“Non ho capito perché dobbiamo parlare di papà se qua ci sono io. Comunque mai me ne sono vergognato, anzi stravedevo per lui. Ho incollato i manifesti, ho iniziato a far politica da giovanissimo, non mi ha mai incoraggiato ma mai ha detto una parola contro”.
C’è mamma Nuccia, che negli anni d’oro ha movimentato i conti correnti familiari con la sua Promo Group, attività di relazioni pubbliche, e incentivato il portafogli dell’impresa di assicurazioni.
“Sa che mi dicono? Ci fosse ancora suo marito! Vittorio è rimpianto perché in qualche modo ha fatto sempre del bene, ha aiutato tanta gente, è stato sempre a disposizione”
Pietro: “Mamma, la storia la fanno i vincitori”.
Nuccia: “Tutte le cattiverie sul suo conto mi hanno fatto male, ma la politica è crudele: ora sei sullo scranno ora sei per terra. Vittorio se n’è andato da tanto tempo, e io ormai ho perso interesse. Sono qua solo perché c’è Pietro”.
Pietro: “Non ho mai avuto problemi per il mio cognome. In genere mi scambiano per il figlio dell’ex arbitro di calcio Sbardella, che qui a Roma è molto conosciuto. Di papà, nessuno dice niente”.
Maria Antonietta, sorella di Pietro: “Mai interessata a queste cose, bastava uno in famiglia. Con mio fratello sono due”.
Nella sala l’ospite d’onore è Lorenzo Cesa. Già factotum di Pier Ferdinando Casini, qualche disavventura giudiziaria, un ingresso a Regina Coeli ai tempi di Tangentopoli, il ritorno sulla scena, poi questi anni declinanti. Oggi il suo nome è imbucato nel grande contenitore del centrodestra a Nola. Candidato in quel collegio al Senato.
Cesa: “Siamo tutti qua, che bello rivedere tanti amici. Ciao Luciano, rivedo Giorgio, Angelo. Ehilà, che belli che siete! Una comunità non si scioglie per un diktat e resiste anche davanti alle ingiustizie che ha subìto. Penso a quanto male ci ha fatto il governo Monti, penso all’ostracismo nei nostri confronti, per non usare altre parole. Volevano annientare l’anima cattolica, i portatori dei valori della famiglia. E invece eccoci, con il nostro simbolo e la nostra storia. Dobbiamo imporre il nostro codice etico”.
Pietro: “Non c’entro niente con le indagini sulla corruzione che hanno coinvolto quell’imprenditore della sanità. Uscirò, ne sono certo, totalmente pulito dall’inchiesta”.
Cesa: “Siamo qua e siamo forti. E sono felice di dare una mano a Pietro Sbardella che lo merita. Quasi quasi voto qui a Roma e ti do il voto Pietro (fino a stamattina avevo intenzione di votare laggiù a Nola, dove sono candidato. Mi sarei votato… ma qui nel Lazio la contesa è più ampia)”.
Pietro: “Lei mi sta chiedendo del fatto che io sia stato intercettato mentre a quell’imprenditore riferivo di aver trovato il suo libretto di assegni nella mia auto? Ma capisce che questa è la prova regina della mia estraneità? Lui, piegandosi, lo ha smarrito. Ho visto dal libretto che la banca emittente aveva sede a Guidonia e sono risalito con la mente a lui. Vuoi vedere che…”.
Nuccia: “Abbiamo conosciuto i giorni di festa e anche quelli di dolore. Ma non ne voglio parlare. Passo le giornate a giocare a burraco con le mie amiche”.
Pietro: “Sono stato broker, poi assicuratore. E se non sarò eletto ritornerò al mio lavoro. Ora raccolgo solo finanziamenti elettorali da parte di amici, imprese no. Oggi questo incontro mi è costato circa tremila euro, aperitivo compreso. Tanti amici mi hanno inondato di messaggi: scusaci Pietro, ma piove”.
Nuccia: “Vittorio ha sempre detto a Pietro: vuoi fare politica? Sii umile e poi veditela da solo”.
Pietro: “Me la sono vista da solo. Quel che vorrei adesso è dimostrare che valgo”.
Nuccia: “Lui è diverso dal padre. Vittorio era più burbero”.
Pietro: “Lo so, dite sempre che appaio troppo calmo. Ma quel che ho dentro non riesco a buttarlo fuori con impeto. Ho un carattere, diciamo, più riflessivo. Senza urlare ho fatto in modo che la giunta Zingaretti non distruggesse il piano casa fatto al tempo della giunta Polverini dall’amico Luciano Ciocchetti, assessore all’urbanistica, che speriamo di rivedere in Parlamento. Col piano casa abbiamo dato a tante famiglie la possibilità di ampliare di una o due stanze l’appartamento”.
Ciocchetti: “Amici, questo significa sostenere la famiglia!”.
Pietro: “Io dall’inchiesta ne uscirò presto e bene”.
Nuccia: “La politica è mestiere e passione”.
Pietro: “Sa che non ricordo quanto ho speso alla scorsa campagna elettorale? Lei dice che ho dichiarato 89 mila euro? Mi fido di lei. Ma i tempi sono cambiati. Questa volta non vado oltre i 50 mila”.