il Fatto Quotidiano, 21 febbraio 2018
L’Italia a testa in giù
Per capire come vanno le cose nel Paese di Sottosopra, bisogna mettersi a testa in giù e guardare su. Altrimenti si rischia di impazzire. Indovinate: chi attacca il sito Fanpage che ha scoperchiato lo scandalo delle tangenti sulla monnezza in Campania? La Repubblica, un tempo paladina del giornalismo investigativo e ora angosciata dai misteriosi “fini poco limpidi” dell’inchiesta e dall’uso di un ex pentito della camorra per offrire mazzette a politici e funzionari. E non invece dal fatto che questi, anziché metterlo alla porta a calci, gli abbiano spalancato le porte. Intanto, siccome i fini sono poco limpidi, si dimettono tutti.
Sapete perché il Csm sta “processando” il pm Henry John Woodcock? Per non aver indagato subito Filippo Vannoni, il consulente di Renzi sospettato di essere una delle talpe dell’inchiesta Consip insieme a Lotti, Del Sette e Saltalamacchia. Avete capito bene: accusato per vent’anni di indagare troppa gente, ora Woodcock deve rispondere di non aver indagato qualcuno. Ma di averlo sentito come testimone. E di avergli ricordato che i testi devono dire la verità, sennò rischiano l’arresto. Lo dice la legge, lo fanno tutti i pm, ma Woodcock non può. Fra l’altro, che Woodcock abbia minacciato di spedire Vannoni in vacanza a Poggioreale lo dice Vannoni, ora indagato a Roma per favoreggiamento e pure per falsa testimonianza. E il Pg della Cassazione a chi crede, fra un pm irreprensibile e un indagato perché bugiardo? Al secondo. E perché i pm romani che non indagarono Renzi e De Benedetti dopo la denuncia Consob per l’insider trading sul decreto banche popolari non finiscono al Csm? Boh.
Ricordate l’inchiesta su Virginia Raggi, accusata di abuso d’ufficio per la nomina del dirigente Salvatore Romeo a capo della sua segreteria, nomina avallata dall’Avvocatura capitolina e dell’Anac? Per capire come mai la Raggi avesse scelto come segretario proprio Romeo e non, per dire, il Canaro della Magliana, la Procura di Roma fa accertamenti patrimoniali su Romeo e scopre che ha investito i suoi risparmi in una dozzina di polizze vita, indicando come beneficiari in caso di sua morte una decina di conoscenti, fra cui la Raggi. Nessuno di questi, a parte l’ex fidanzata, ne sa nulla. La sindaca viene torchiata per 8 ore, manco fosse Totò Riina. L’indomani la Procura precisa che la Raggi non sapeva nulla della polizze, che peraltro “non costituiscono fatto penalmente rilevante in quanto non emerge un’utilità corruttiva”. Ma intanto Repubblica, Corriere, Stampa, Messaggero, Giornale e Libero lavorano di fantasia.
Repubblica paragona il caso a Tangentopoli (“mesto déjà vu di una stagione lontana, quella della Milano di Mani Pulite”) e La Stampa a House of cards (dove Frank Underwood commette tre omicidi per diventare presidente). E giù piccanti allusioni all’intensissima attività sentimentale della Messalina del Campidoglio. Romeo, secondo Repubblica, ha un “legame privato, privatissimo con la Raggi, in pieno conflitto d’interesse”, anche se “quelle polizze potrebbero avere un’origine non privata, ma politica… una ‘fiche’ puntata su una delle anime del M5S romano, quella ‘nero fumo’” perché Romeo sarebbe un uomo della “destra” romana, anche se “peraltro nato a sinistra” (testuale). Un “figuro” seduto a “un tavolo di bari”. Libero sintetizza il tutto con un elegante titolo di prima pagina: “La patata bollente”. L’assessore Paolo Berdini esce di testa e confida a un cronista de La Stampa: “Questi erano amanti”. E i suoi deliri finiscono in prima pagina, con tanti saluti alla privacy, senza uno straccio di prova. Repubblica insiste sui “tesoretti segreti e ricatti” nascosti nelle polizze per “garantire un serbatoio di voti a destra” ai 5Stelle. Anche il Messaggero la sa lunga: “Spunta la pista dei fondi elettorali”, “l’ombra dei voti comprati”. “La pista che porta alla compravendita di voti”, conferma il Corriere: “Il sospetto di finanziamenti occulti al M5S”. La Stampa evoca “l’accusa di corruzione”, che è “vicina”. Poi i giornaloni “garantisti”, dando per scontato che sia colpevole, scrivono che la Raggi sta trattando con i pm per confessare e “patteggiare”, sprofondata nell’“abisso giudiziario e politico” (Repubblica). Anzi “La Raggi teme l’arresto” (il Giornale).
Poi la Procura chiede di archiviare sia la “corrotta” sia il “figuro”: secondo i pm, la nomina era illegittima, ma mancava il dolo, cioè l’intenzione di commettere il reato. Ora il gip Annalisa Marzano ha archiviato tutto, ma ha stabilito che la nomina era perfettamente legittima, come peraltro era evidente fin dall’inizio: bastava leggere il Tuel (testo unico enti locali) e il via libera di Raffaele Cantone che “il sindaco, nella trasparenza del suo operato, interpellava”. Di qui “l’inconsistenza delle accuse mosse al sindaco Raggi che, con la nomina di Romeo, si era mossa lungo il solco già tracciato dai precedenti orientamenti dell’amministrazione capitolina… nel genuino convincimento di non violare alcun dettato normativo”. Non solo: “francamente appare stravagante e probatoriamente inconsistente conferire valenza illecita alle tre polizze… Niente di più vero che Virginia Raggi non fosse neanche a conoscenza dell’esistenza delle tre polizze”. Dunque l’inchiesta è archiviata “per infondatezza della notizia di reato”. Qualcuno chiede scusa alla “corrotta” e al “figuro”? No, anzi. Sul sito di Repubblica la cronista Giovanna Vitale, visibilmente contrariata, spiega che “in realtà l’iter della delibera mostra diversi gradi di opacità della sindaca”. Ecco: il giudice sentenzia che la Raggi è “trasparente”, ma la Cassazione di Repubblica stabilisce che è “opaca”. Coraggio, ragazzi, la campagna elettorale è quasi finita.