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 2018  febbraio 21 Mercoledì calendario

Il ministero accusa: danneggiati i diari di Cavour

Il ministero dei Beni culturali accusa la fondazione Cavour di aver danneggiato, con un restauro maldestro e irregolare, i diari del conte che unì l’Italia. Perciò ne ha disposto il deposito coattivo, l’equivalente di un sequestro, e sta valutando di rivolgersi alla Procura della Repubblica e alla Corte dei conti, in quella che si annuncia come una guerra legale sull’archivio Cavour.
L’epistolario e i diari furono donati nel 1946 alla città di Torino dal marchese Giovanni Visconti Venosta, assieme al castello di Santena dove sono custoditi. La consorte, marchesa Margherita, istituì nel 1955 la fondazione Camillo Cavour, partecipata oggi da enti pubblici e finanziatori privati. La Fondazione conserva e rende fruibile l’archivio, in parte di proprietà (con acquisizioni anche recenti), in parte ricevuta in deposito dal Comune di Torino.
Gli archivi sono beni culturali. Come un quadro, una scultura, un monumento. «L’esecuzione di opere e lavori di qualunque genere è subordinata a un’autorizzazione della Soprintendenza», recita la procedura fissata dal codice dei Beni culturali. Nel caso dell’archivio Cavour, il vincolo è generalizzato. Il primo risale al 1938.
Nel 2016 la fondazione invia al ministero un progetto preliminare di restauro dell’archivio. La Soprintendenza acconsente e subordina l’ok a un progetto esecutivo, che però non riceve.
Dopo quasi due anni, la Soprintendenza viene a sapere durante un controllo di routine che il restauro è avvenuto ugualmente. Senza autorizzazione. Informa il ministero che chiede informazioni più precise. Si recupera dalla Fondazione il preventivo di restauro della ditta, riscontrando «criticità, carenze ed errori». Il progetto esecutivo non è firmato da un restauratore. Non è certo il numero dei documenti restaurati. Non viene descritto lo stato di conservazione del materiale. Non sono indicate le procedure utilizzate, né le composizioni chimiche delle sostanze. Il velo per riparare gli strappi è di peso specifico quasi triplo rispetto alla prassi. La colla Vinavil 59 viene usata per le legature, il che non si può fare. Insufficiente la documentazione fotografica. Ciò induce il ministero a disporre un’ispezione nel castello di Santena. L’ispezione dura sei ore. Per il ministero partecipano la soprintendente Monica Grossi, assistita da cinque funzionari di cui due arrivati da Roma.
L’ispezione analizza i 43 documenti restaurati – diari, taccuini di appunti, quaderni e fogli sciolti – rilevando «ondulazioni del supporto originale, eccessivo spessore della grammatura del velo utilizzato per il rammendo alla piega e agli strappi, omissione della specifica dei colori utilizzati per l’adeguamento cromatico, uso di sostanze chimiche non previste dal capitolato tecnico».
Nel verbale gli ispettori esemplificano alcuni interventi grossolani: carte sciolte cucite a libriccino, copertina «controfondata» che rende illeggibili le annotazioni, fogli montati controverso.
La conclusione degli ispettori viene comunicata in tempo reale a Roma: «L’intervento di restauro non autorizzato risulta superficiale, approssimativo e incompleto». Il direttore generale archivi del ministero, Gino Famiglietti, per il concreto rischio di perdere i documenti, decide di sottrarli alla Fondazione con un provvedimento coattivo, eseguito dai carabinieri del nucleo di tutela del patrimonio culturale.
Poiché il trasferimento immediato a Roma potrebbe essere esiziale, dispone la custodia temporanea presso l’Archivio di Stato di Torino, diretto dalla stessa Grossi, per consentire la «stabilizzazione» dei documenti. Solo successivamente, dopo analisi più approfondite, deciderà se e come intervenire l’Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario di Roma, un’eccellenza mondiale.
Nel frattempo partono le verifiche legali. Il restauro non autorizzato è previsto come reato dal codice dei Beni culturali. Come mai la Fondazione Cavour non ha informato le autorità, presentando un progetto e chiedendo l’autorizzazione al ministero? La soprintendente, nel corso di una riunione a Torino, ne ha chiesto conto a Nerio Nesi, ex ministro e oggi presidente della Fondazione. In una comunicazione inviata al ministero, ha poi spiegato che «Nesi è apparso in buona fede, dichiarando di ignorare quanto disposto dalla normativa vigente». E ammettendo che il comitato scientifico della Fondazione, che avrebbe potuto orientare il restauro, non risulta convocato negli ultimi due anni.
Il ministero potrebbe rivolgersi alla magistratura, inviando le carte alla Procura per i profili penali e alla Corte dei conti per il duplice danno erariale: i soldi del restauro (7500 euro finanziati dalla Regione Piemonte) e quelli per gli interventi di salvataggio delle carte, a spese del ministero.