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 2018  febbraio 20 Martedì calendario

Tra i dem si lavora già al grande salto

Da una parte c’è, nel Pd, la campagna elettorale, che segue il copione di ogni campagna elettorale: attacchi agli avversari, appello al voto utile, chiamata a raccolta dei propri. Poi c’è un’altra campagna. O meglio un dialogo che si fa sempre più intenso. Quello tra chi, nel Pd, lavora al dopo-Renzi, ritenendo che la stagione dell’attuale segretario dem sia sulla via del tramonto e occorra accelerarne la fine il più velocemente possibile, e gli scissionisti approdati in Liberi e Uguali. Il rapporto tra le due parti non si è mai interrotto. E sono in molti a ritenere che, come dice un esponente dell’opposizione dem, «un avvicinamento tra un Pd senza Renzi e LeU sia nelle cose». 
Il discrimine, infatti, non sono tanto i progetti politici, quanto, ormai, una persona: Renzi. Nel caso in cui facesse un passo indietro, dicono in casa dem e confermano i sostenitori di Grasso, tutto cambierebbe. O una riunificazione politica o una scissione del Pd. Persino, per LeU, una partecipazione a un governo di larghe intese. Per questo il dialogo tra una parte del Pd e LeU non si è mai interrotto. Ma perché il riavvicinamento sia possibile bisogna che sia archiviato Renzi. Il che non è affatto semplice. Nemmeno, si ammette nella minoranza dem, in caso di un mediocre risultato del Pd. Il fatto che ormai da mesi i sondaggi pronostichino un risultato basso, potrebbe attutire l’effetto sconfitta. 
«Se anche il Pd prendesse il 23%, nessuno oramai si stupirebbe», spiega un esponente della minoranza. Renzi disporrà, poi, di gruppi parlamentari fedelissimi. In più, si ragiona nella minoranza, il segretario del Pd, in caso di un risultato mediocre, potrebbe fare la mossa del cavallo: essere lui stesso a dire di non voler fare un governo con Silvio Berlusconi. «In questo modo blinderà il Pd». Eviterà, cioè, l’altra ipotesi: una nuova scissione, magari verso gli ex compagni di LeU. 
Tutti ragionamenti che si fanno sottotraccia. In superficie, invece, continua la campagna elettorale. E la competizione, naturale in una logica proporzionale, tra vicini, quindi tra Pd e LeU. Ieri è stato Grasso a punzecchiare il Pd, «utilizzando» la carta Prodi: «Non c’è dubbio che anche Prodi si dovrà turare il naso per votare a Bologna Casini e non certamente Errani». Però non ha chiuso del tutto la porta: per eventuali accordi di governo dopo il 4 marzo «si dovranno vedere i risultati delle elezioni e poi stabilire cosa fare». 
Anche Massimo D’Alema ha attaccato il Professore: «Per Prodi i fuoriusciti dal Pd sono “amici che hanno sbagliato”. Penso lo stesso di lui. Se la lista Insieme non supera il 3% il voto va a Renzi, quindi Prodi voterà per Berlusconi e Renzi senza dirlo nemmeno a se stesso». 
Renzi, da parte sua, punta sul voto utile per cercare di arginare i voti in uscita verso la formazione di Grasso: «Un voto dato alla sinistra radicale porta Salvini più vicino a Palazzo Chigi o al Viminale. Chi vota D’Alema vota Salvini».