Libero, 20 febbraio 2018
La trappola del 4 marzo
Inciucio? Se ne prepara uno che non ci si aspetta, nel caso di quasi-vittoria del centrodestra, cioè senza maggioranza parlamentare. Niente Renzi-Berlusconi. E neppure Di MaioSalvini. Sono ipotesi queste da gente senza fantasia, talché le ha formulate anche il sottoscritto, paventandole, ma ritenendole irrealistiche: nessuna delle due avrebbe i numeri sufficienti per reggere alla conta del Parlamento, salvo trasmigrazioni di responsabili che il Quirinale ha fatto sapere di non accettare, per ragioni di decoro e di ordine pubblico.
E allora? Ce n’è un’altra che avrebbe i numeri, pur se oggi apparirebbe impossibile politicamente. Mi spiego.
Il 68 parigino, com’è noto, sognava la «fantasia al potere», auguri. In realtà è il potere che ha molta fantasia, specie nei suoi assi portanti, che pur di non spezzarsi dimostrano una immaginazione da ragazzini. Un disegno si va ricamando in ambienti non lontani da quelli che si chiamano poteri forti e se ne chiacchiera con una certa voluttà nei ristorantini e clubini della finanza milanese con agganci a Londra. Costoro si preparano ad applaudire a un governo dotato di una maggioranza larga e sicura, nonché tutta spostata sulla sinistra. Al dunque: Cinque Stelle + Partito democratico + Liberi e Uguali. Non è fantapolitica, ma sarebbe un’alleanza basata su una convergenza tra chi vuole a tutti i costi arrivare finalmente al potere (M5S) e tra chi l’ha avuto o ce l’ha e non vuole perderlo (Pd ed ex-comunisti). La benedizione decisiva verrebbe da quei circoli meta-politici, e che cioè trascendono la politica, ma se ne servono: grandi banche, fondi d’investimento internazionali, leader di strutture transnazionali.
Tra gli attori nostrani, chi fortissimamente vuole questo accordo, nell’impossibilità di superare quel 40 per cento che garantirebbe di poter governare da soli, è il laeder autentico dei Cinque Stelle, adesso che Beppe Grillo è «molto stanchino», vale a dire Davide Casaleggio. A lui il padre Gianroberto ha lasciato in eredità profezie visionarie che suppongono per attuarsi l’entrata rapida nel Gotha dove si maneggiano le leve del comando.
L’OMBRA DI ROMANO
Casaleggio è troppo intelligente per non sapere che la democrazia elettorale è imperfetta e fragilissima. Non bastano i numeri per resistere al governo, vedi Berlusconi nel 1994, occorre il pollice alzato di divinità per cui il voto del popolo è una variabile addomesticabile. In Italia: magistratura, banche, grandi famiglie dotate di molta grana, apparati dello Stato, Chiesa. Sopra l’Italia: finanza internazionale, burocrati europei, Usa, Cina, Russia. Occorre un uomo che garantisca dentro e fuori il Paese tutti quanti.
Abbastanza popolare presso i Cinque Stelle e la sinistra. Con prestigio internazionale. Eccolo: Romano Prodi. Gli si lascerebbe preparare un bouquet di ministri colti fior da fiore tra personalità della giustizia, delle istituzioni, purché potabili a Bruxelles e nelle grandi capitali. Se proprio vuole, per garantire non solo larghe intese, ma larghissime, potrebbe trovare una sistemazione nel governo anche Forza Italia.
Ehi, non ho detto sia facile. Occorrerebbero certe condizioni. La prima, scontata, è che Berlusconi, Salvini, Meloni e quarta gamba non abbiano la maggioranza dei seggi. In secondo luogo sarebbe necessario che i gruppi parlamentari del Pd, posti davanti alla vita o alla morte (cioè il ritorno alle urne), disarcionino Matteo Renzi, che vede Di Maio come la peste, essendone ricambiato. Che problema sarà mai per un parlamentare responsabile democraticamente defenestrare il capo? Dopo di che, Prodi non potrebbe dire di no.
Ovvio: tutti smentiranno. Al di là dalle fonti bene accreditate, ma innominabili, le quali ci hanno giurato sulla ferrea determinazione di Casaleggio, esistono sassolini bianchi disseminati sulla strada da noi indicata per Palazzo Chigi. Innanzitutto la scelta di Luigi Di Maio come leader politico è funzionale a questo progetto: presentabile, gentile, ed evidentemente un fuscello quanto a calibro intellettuale rispetto al giro milanese (Casaleggio e associati, Rousseau) che inventò i 5 Stelle con Grillo. A fine gennaio Di Maio è stato spedito da Casaleggio a Londra, dove ha incontrato a porte chiuse una ventina di grandi investitori in un club privato nel quartiere di Knightsbridge. Secondo la Reuters avrebbe tranquillizzato i suoi interlocutori, dicendosi disponibile a «convergenze» con altri. Di Maio ha smentito, sennonché Repubblica ha rintracciato chi tra i partecipanti al meeting ha trascritto queste parole dell’azzimato grillino: «So che nelle analisi di molti di voi le due ipotesi dominanti post voto sono un governo di maggioranza assoluta del centrodestra oppure uno sull’asse centrodestra-Pd. Io ritengo che non ci siano i numeri per queste due ipotesi, così ne prevedo altre due: o tornare di nuovo alle urne oppure trovare punti in comune nelle varie agende dei partiti, per farle diventare un’agenda di governo». Ha posto anche un termine alla fine delle consultazioni: il 23 marzo.
IL PREDILETTO
Prodi che c’entra? Ricordiamo il risultato delle consultazioni tra gli iscritti (controllate ovviamente da Casaleggio) per individuare il sostituto di Napolitano a capo dello Stato. Ecco l’agenzia datata 29 gennaio 2015: «Quirinarie M5S: il candidato al primo posto è risultato Ferdinando Imposimato con il 32% (16.653 voti), secondo Romano Prodi con il 20% (10.288 sì), terzo Nino Di Matteo con il 13% (6.693 placet)». Imposimato è nel frattempo defunto. Resta Prodi il prediletto. Nell’agosto scorso, sull’Huffington post, una vecchia, intelligentissima pantegana della politica e degli apparati dello Stato, nonché sottosegretario all’Economia del governo Monti, Gianfranco Polillo, fornì una notizia, nella distrazione ferragostana. La raccolse solo Massimo Bordin sul Foglio. Polillo la mascherò da improbabile profezia, ma intanto buttò l’amo. Scrisse: probabilmente sarà Di Maio a essere candidato premier (azzeccato); i grillini saranno i primi, ma non basterà per governare (anche questo regge). Allora ci sarà Romano. Incubo al potere.