Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  febbraio 21 Mercoledì calendario

Eurozona a corto di specialisti, vacanti due milioni di posti

Per la Francia è un problema nuovo. Piuttosto fastidioso. Proprio adesso che la disoccupazione inizia a calare e il Paese spera che siano mantenute le promesse della riforma del mercato del lavoro voluta dal presidente Emmanuel Macron si presenta una difficoltà inattesa: mancano i lavoratori “giusti”. Per un numero sempre crescente di aziende la domanda di lavoro non riesce a essere soddisfatta. Tutti i settori sembrano essere interessati, ma secondo un’analisi di Julien Marcilly, capo economista di Coface, automotive, trasporti e costruzioni sono i comparti più colpiti.
Non è in realtà un fenomeno solo francese. In Germania è da tempo che il cosiddetto mismatch, il disallineamento tra le competenze richieste dalle aziende e quelle offerte dai lavoratori ha colpito il Paese. L’economia tedesca ha però un tasso di disoccupazione inferiore al 4% (per la classe d’età 15-74 anni) ed è normale che a questi livelli si presentino problemi. In Francia i senza lavoro sono invece appena calati sotto il 9%, a un livello decisamente più alto non solo del periodo pre crisi, ma anche di quello immediatamente successivo alla Grande recessione.
Una curva più alta
Gli aneddoti su questa o quella azienda in difficoltà, questo o quel settore sotto pressione non raccontano però la storia nel suo complesso. I dati Eurostat mostrano che il fenomeno è ormai ampio. La cosiddetta “curva di Beveridge”, che mette in relazione il tasso di disoccupazione e il livello dei posti “vacanti” (vacancies, in percentuale sul totale tra posti di lavoro occupati e vuoti), si è – come si dice in linguaggio tecnico – spostata verso l’alto per molti paesi. Più semplicemente, questo significa che a un uguale livello di disoccupazione in passato la percentuale di posti vacanti era più bassa di oggi. In Francia a un tasso di disoccupazione del 9,3% corrispondeva – nel terzo trimestre ’17 – un livello di posti vacanti pari all’1,1%; nel quarto trimestre 2011, allo stesso tasso di disoccupazione corrispondeva un livello di posti vacanti dello 0,7%, e nel primo del 2010, a una disoccupazione appena più alta (9,4%) corrispondevano posti vacanti allo 0,4%.
Italia ed Eurolandia
L’Italia, che negli anni scorsi sembrava al riparo da questo fenomeno – malgrado le dichiarazioni di qualche politico – si assiste alla stessa tendenza : il livello di vacancies era dell’1% nel terzo trimestre 2017 con una disoccupazione al 10,6%. Nel secondo trimestre 2012, a un livello di senza lavoro appena più basso (10,5%) corrispondevano posti vacanti pari allo 0,5%. Per ritrovare nei dati sulle vacancies l’un per cento registrato a fine settembre occorre tornare indietro agli ultimi trimestri precedenti la crisi: al terzo trimestre del 2007, quando la disoccupazione era però ben più bassa: un irripetibile 5,6%.
È l’intera Eurolandia a soffrire oggi di questo fenomeno, che un tempo sembrava limitato agli Stati Uniti: il livello delle vacancies è ai massimi storici, l’1,9% mentre la disoccupazione non è certo ai minimi.
Dati «confidenziali»
A quanti posti corrispondono queste percentuali? Alcuni Paesi, tra cui l’Italia, mantengono “confidenziali” i dati in valore assoluto, e mancano quindi indicazioni per l’intera Eurolandia. Il portale Ue sulla mobilità del lavoro, che cerca di affrontare il problema, censisce 1.800.000 posti vacanti, ma i numeri reali sono molto più alti. Solo in Germania sono 1.150.000, in Olanda 217mila, in Spagna 110mila, la Francia ne calcola 150mila nelle imprese con più di 10 addetti, ma è possibile che i dati siano sottovalutati. Anche perché non tengono conto di altri problemi non facilmente rilevabili dalle statistiche, ma in crescita: i lavoratori con competenze sottoutilizzate, quelli non adeguatamente competenti e quelli con competenze divenute obsolete.
I settori in sofferenza
I numeri complessivi, inoltre, non mettono in evidenza la sofferenza di alcuni singoli settori. Quasi ovunque, per esempio, il manifatturiero sembra meno colpito della media dal fenomeno del mismatch. Le costruzioni in Germania mostrano invece un tasso di vacancies del 3,8%, in Francia dell’1,3% e in Italia dell’1,1%, tutti livelli superiori alla media. Il settore ristorazione e alberghiero francese è al 2%, mentre in Italia sfiora in 3% nei mesi invernali. Informazione e comunicazione giunge al 3,6% in Germania, all’1,7% in Francia e all’1,5% in Italia. Per le occupazioni professionali, scientifiche e tecniche la Germania arriva al 5,7%, la Francia all’1,3% e in Italia all’1,2%, in forte aumento anche rispetto al recente passato.
Veri e falsi disallineamenti
La soluzione è ovviamente nell’adeguamento delle competenze: scuole migliori, apprendistato efficiente, istruzione permanente (lifelong learning). A volte, come segnala il Cedefop, l’agenzia europea sull’aggiornamento professionale, il disallineamento tra domanda e offerta non è però solo un problema di competenze. Una componente importante è l’insufficiente livello salariale offerto, mentre non andrebbe sottovalutata l’inefficienza del management delle risorse umane («Cercano diciottenni con esperienza ventennale», si lamentava su un social un amministratore delegato straniero che, controcorrente e con successo, aveva assunto ultracinquantenni): secondo un’indagine Cedefop su microdati pesa nel 13% delle imprese in difficoltà come fattore unico e in un ulteriore 22% associato a una effettiva carenza di competenze.