la Repubblica, 21 febbraio 2018
Quel (molto) che resta dei Rockefeller
LONDRA Esce Valentino: è un cliente abituale, ha ricevuto l’onore di una visione privata e da come parlotta fitto con il socio e partner Giancarlo Giammetti sembra soddisfatto. Entra il cronista di Repubblica: che naturalmente, a differenza del grande stilista, non è venuto per fare acquisti. Ma è sufficiente riempirsi gli occhi di tanta bellezza, per di più con il privilegio di goderla in solitudine, per sentirsi ricchi.
Bellezza vergine, perché finora nessuno aveva potuto ammirarla, tranne il proprietario. L’effetto dell’esperienza è quasi afrodisiaco. Per darne un’idea, occorre un passo indietro.
Siamo nel cuore aristocratico di Londra, tra il castelletto in cui vive il principe Carlo e i club per gentiluomini di Pall Mall.
All’angolo di un imponente palazzo, un’odalisca nuda sdraiata su un divano: riproduzione, in formato gigante, di un celebre quadro di Matisse. Occupa la vetrina principale di Christie’s, più grande casa d’aste del mondo. Il prezzo, avverte una dicitura accanto al nome dell’artista, verrà reso noto «su richiesta».
La previsione è che quello di partenza sarà almeno 50 milioni di sterline – 60 milioni di euro.
«L’aspettativa è che stabilisca il record pagato per un quadro del pittore francese», pronostica Jonathan Rendell, curatore della storica collezione che andrà sotto il martello del battitore questa primavera. I media l’hanno ribattezzata “il tesoro dei Rockefeller”: quasi 2mila opere d’arte, tra cui autentici capolavori, che adornavano le case di David senior, il patriarca della famiglia di petrolieri, banchieri e filantropi, grande amico di Gianni Agnelli, morto ultracentenario lo scorso anno.
Valore stimato della collezione: 700 milioni di dollari, ma è possibile che il ricavato finale dell’asta arrivi a un miliardo.
Somma che sarà interamente devoluta in beneficenza, spartita fra università, ospedali, fondazioni, come stabilito dal testamento di David e della moglie Peggy.
Nella storia delle aste, forse non ce n’è mai stata una così, perlomeno come collezione di singolo proprietario. La lista degli artisti potrebbe occupare una pinacoteca: Picasso, Monet, Seurat, Gris, Signac, Manet, Gauguin, Van Gogh, Delacroix, Hopper, Singer. Oltre al già citato Matisse: la cui odalisca in questione è l’unica rimasta in mani private. «Se c’è un quadro che mi mancherà più degli altri, è questo», confida David Rockefeller junior al Financial Times (che lo ha intervistato al Museum of Modern Art di New York, il museo fondato da sua madre).
Ed eccola qui, questa provocante bellezza, su una parete comprensibilmente tutta per lei. Ma l’articolo più pregiato del lotto, in un’altra stanza, è un nudo di donna precubista di Picasso con prezzo di partenza sui 70 milioni di sterline (a Londra, il 28 febbraio, vendono un Picasso anche nella casa d’aste rivale Sotheby’s – da 50 milioni): e non ci sarebbe da stupirsi se, al termine della contesa per aggiudicarselo, raggiungerà 100 milioni. «Pensi che è il secondo quadro venduto da Picasso in vita sua», spiega il curatore Rendell. «Glielo comprò Leo Stein, fratello di Gertrude, la scrittrice americana nel cui salotto parigino degli anni ’20 si incontravano Hemingway, Fitzgerald e alcuni degli artisti diventati i maestri del Ventesimo secolo. Pablo, all’epoca povero in canna, chiese 500 franchi. Si misero d’accordo per 100». La sensazione, ascoltando l’allestitore dell’asta, è di fare capolino in quel salotto: una magia alla Midnight in Paris di Woody Allen. Con un pizzico d’immaginazione, del resto, sono possibili salti temporali anche più indietro. Oltre a quadri e sculture, l’asta comprende una vasta raccolta di porcellane e vasellame d’antiquariato: «E questa», indica Rendell, «era la zuccheriera di Napoleone Bonaparte. Doveva essere la sua preferita, perché l’imperatore la portò con sé anche in esilio, all’Elba».
Molti di questi pezzi rari occupavano un posto speciale nella residenza di campagna di David Rockefeller, «la casa che Dio avrebbe costruito», è stato detto, «se avesse avuto i soldi».
A creare la fortuna del clan, negli anni ruggenti del capitalismo, fu il padre di David, John D. Rockefeller, uno del quintetto (con Andrew Carnegie, Cornelius Vanderbilt, J.P. Morgan ed Henry Ford) degli “uomini che hanno costruito l’America”, come li soprannominò un libro. Nel 1937, alla morte di John D., un necrologio gli diede un nomignolo meno positivo: «L’uomo più detestato d’America». Il padrone della Standard Oil era odiato per una ricchezza e un predominio economico esagerati. «Oggi non incontro molta gente che odia la mia famiglia», osserva il 76enne David junior, suo nipote e attuale capostipite dei Rockefeller. Un po’ perché non è più ricco come il nonno: la classifica di Forbes sui miliardari lo mette in 581esima posizione. Ma soprattutto perché sia lui che il padre hanno aderito alla “Giving Pledge” di Bill Gates e altri magnati, donando in cause umanitarie più di metà del proprio patrimonio.
Un tempo sinonimo negli Stati Uniti dell’ala moderata e pragmatica del partito repubblicano, a cui diedero un vicepresidente, Nelson, nella Casa Bianca post-Watergate di Gerald Ford, tanto che bastava dire “Rockefeller Republicans” per evocare una linea politica, più recentemente sono diventati “Rockefeller Democrats”, alfieri dell’ala moderata e pragmatica del partito democratico, per il quale vota David jr.
«L’anno scorso, nel nostro ultimo lunch», rivela Peter Johnson, storico della famiglia, «David senior mi confessò: Trump non mi piace per nulla, mi secca morire con lui presidente».
Anche il biografo è a Londra per l’esibizione del tesoro dei Rockefeller, che dopo una tournée a Pechino e Shangai (il 35 per cento dell’arte ormai viene comprata in Cina) si concluderà nella sede newyorchese di Christie’s per l’asta vera e propria, in maggio.
Ci andrà anche Valentino, a New York, o gli sarà bastata la visione privata per fare il suo shopping per telefono?«Valentino?», ammicca il curatore Rendell, «io non ho visto nessun Valentino».
Aste e riservatezza, si sa, vanno a braccetto.