la Repubblica, 21 febbraio 2018
Kramp-Karrenbauer & Co. Donne alla guida dei partiti. Il catalogo tedesco è questo
Berlino Un lapsus che vale più di mille parole. Presentando la nuova segretaria generale dei cristianodemocratici, Angela Merkel l’ha definita «la prima donna che ricoprirà questo ruolo». Poi è scoppiata a ridere, ricordandosi di essersi dimenticata se stessa. Vent’anni fa era stato Wolfgang Schaeuble a cederle lo scettro della guida della Cdu. Vent’anni dopo, Merkel mette un partito fiaccato dalla crisi generale delle ‘ Volksparteien’ nelle mani di quella che viene considerata una “Merkel 2.0”. E Annegret Kramp- Karrenbauer non è soltanto l’antidoto contro la presunta “Merkeldaemmerung”; è anche la dimostrazione che la cancelliera non ha mai creduto alla tesi che il suo spostamento a sinistra abbia nuociuto al partito.
Anzi, AKK, come viene chiamata, convinta sostenitrice della merkeliana ‘politica delle porte aperte’ sui profughi, sensibile ai temi sociali, è proprio l’argine contro le pressioni dell’ala destra che avrebbe voluto vedere un ultra- conservatore come Jens Spahn alla guida dei cristianodemocratici. Anche la cancelliera ha il suo ‘cerchio magico’, e da anni attinge ai suoi fedelissimi per mandare avanti il partito e la Germania. E la scelta di AKK vuole essere anche quella di una traiettoria che non rompa troppo con la linea seguita sinora.
Il tandem femminile alla guida della Cdu tinge ulteriormente di rosa un Paese che sta vivendo una crisi politica senza precedenti e che in questo momento delicatissimo ha scelto di affidarsi molto di più alle donne. Una coincidenza? Certo è che le donne arrivano, come nel caso di Andrea Nahles, anche nel terribile ruolo di curatrici fallimentari. La Spd è scesa negli ultimi sondaggi sotto l’Alternative fuer Deutschland, è scivolata dietro la destra populista al 15,5%. I prossimi quattro anni saranno prevedibilmente quelli della fatica più titanica da decenni: scongiurare lo spettro della ‘ pasokizzazione’, evitare la spirale micidiale del destino del partito socialista greco che dal 42% del 2009 è precipitato sotto il 10%. O di quello socialista francese, crollato all’irrilevanza. Forse è vero che donne si diventa e non si nasce, come sosteneva Simone De Beauvoir, di certo le Volksparteien, gli ex partiti di massa, hanno deciso di affidarsi a loro nel momento più difficile della loro storia.
La stessa destra populista tedesca ha scelto da tempo di farsi guidare dalle donne, per tirarsi fuori dai guai. Quando il fondatore Bernd Lucke ruppe con l’Afd, inorridito dalla deriva destrorsa del suo ‘ partito dei professori’, nato per contestare l’euro e finito per raccogliere molta feccia neonazista, xenofoba e islamofoba, il timone fu ceduto a Frauke Petry. Anche lei resse soltanto due anni alle pressioni dell’ala destra e alle micidiali lotte intestine. La corrente ‘voelkisch’, come viene definita, l’ha sempre più emarginata. E il giorno dopo le elezioni, il 25 settembre, Petry ha lasciato il partito per fondarne uno nuovo, anche lei spaventata dallo scivolamento a destra dell’Afd.
Oggi i populisti tedeschi sono guidati dalla ‘ bella’ e la ‘ bestia’, dal tandem Alice Weidel e Alexander Gauland. E l’ultima leader dell’Afd ha il compito di tenere insieme quel residuo di elettorato non estremista – ad esempio gli ex elettori della Cdu in fuga dalla ‘ socialdemocratizzazione’ merkeliana – attraverso il suo curriculum brillante da ex consulente della finanza e il suo linguaggio non inquinato dalla terminologia pangermanica o anni Trenta che infesta i comizi di tanti sodali di partito.
Infine, che i Verdi o la Linke proiettino donne ai vertici non è una novità. Di recente gli ambientalisti tedeschi, guidati da anni da un tandem misto, hanno eletto presidente Annalena Baerbock, classe 1980, assieme a Robert Habeck. E la Linke è rappresentata da Katja Kippinger e Bernd Riexinger. Ma a sinistra della Spd la presenza delle donne ai posti di comando non è più una tendenza, è una costante.