Corriere della Sera, 21 febbraio 2018
La rivalità franco-tedesca e le carte italiane per restare nel cuore dell’Eurotower
Non sapremo mai come avrebbe votato Pier Carlo Padoan, perché un vero voto non c’è stato. Il ministro dell’Economia l’altro ieri a Bruxelles ha comunque condiviso con i colleghi europei la decisione di mandare un uomo preso dal loro gruppo, lo spagnolo Luis de Guindos, direttamente dentro la Banca centrale europea come vicepresidente. Non sappiamo come avrebbe votato Padoan, ma sappiamo che la scelta su de Guindos all’inizio lo aveva messo a disagio: altrimenti non si spiega perché il ministro fosse entrato nell’Eurogruppo l’altra sera dichiarando, in proposito, che doveva ancora fare «le ultime valutazioni». Poi però si è ritirato l’altro candidato, il governatore irlandese Philip Lane, quindi Padoan non aveva altra scelta e ha assentito.
Sarà magari Realpolitik, ma è probabile che l’Italia non si sarebbe comunque opposta a una proposta di Madrid sostenuta da Francia e Germania. Resta giusto il malumore che traspare in quelle «ultime valutazioni» e i mercati si sono incaricati all’istante dargli un nome e un cognome: Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank. Secondo molti investitori, e secondo la stampa tedesca, l’arrivo di un altro europeo del Sud alla vicepresidenza della Bce prepara il terreno a un cosiddetto «riequilibrio geografico» che porti un tedesco alla presidenza. La scelta va fatta tra poco più di un anno, perché la successione a Mario Draghi è prevista fra 20 mesi. Com’è suo diritto, Weidmann ci pensa e ci lavora eccome.
Ieri, dopo la nomina di de Guindos, anche i mercati hanno iniziato farlo: hanno dato un prezzo a quella che chiamano già «la vita dopo Mario». I rendimenti dei titoli di Stato sono saliti; gli investitori iniziano a credere che un ticket fra Weidmann e Guindos – quest’ultimo spesso è stato alleato di Berlino – riporterebbe in alto i tassi d’interesse più in fretta di come avrebbero fatto Draghi con il suo attuale vice, il portoghese Vítor Constâncio. Del resto Weidmann in questi anni si è opposto con coerenza a tutte le misure di Draghi che hanno allentato la morsa della crisi dell’euro e probabilmente evitato all’Italia un catastrofico default.
Naturalmente l’accordo di tutti i governi sul nome del banchiere centrale tedesco non c’è ancora. C’è però una determinazione senza precedenti in Germania a vedere un connazionale al posto di Draghi. Non ci si fida più di delegare ad altri la gestione della moneta. È di questi giorni il primo sondaggio tedesco che mette Alternative Für Deutschland, un partito di destra radicale, al secondo posto assoluto con il 16% davanti ai socialdemocratici. AfD non andrà al governo, nessun partito accetterà mai di allearsi con una formazione tanto equivoca, ma la sua forza è un segno dei tempi: sposterà in senso sciovinista l’asse centrale del dibattito tedesco sull’Europa. A Berlino non è più tempo di regali. A Parigi intanto il presidente Emmanuel Macron intende far leva sulla propria superiore forza politica per proporsi come leader alternativo, anche in Europa. Malgrado i propositi di cooperazione, pensa e agisce in piena rivalità di idee e di candidature con la Germania di Angela Merkel. In questa logica rientra la possibile proposta di un nome francese per il dopo Draghi.
In un quadro così complesso l’Italia non deve scegliere con chi stare, non subito almeno. Deve però decidere quali sono i propri obiettivi strategici per gli assetti della Bce. Uno su tutti: garantire anche in futuro la presenza di un italiano di peso nel ristretto comitato esecutivo dell’Eurotower. Pare scontato, eppure nel gioco delle sedie europee non lo è: specie se, alla fine, la presidenza della Bce non dovesse andare né a un francese, né a un tedesco.