La Stampa, 18 febbraio 2018
La strategia per fermare gli ayatollah
Stati Uniti ed Europa hanno iniziato contatti informali per arrivare ad un approccio comune all’Iran degli ayatollah.
Il primo intento è un miglioramento dell’accordo sul nucleare iraniano siglato a Vienna il 14 luglio 2015 e ratificato dalla risoluzione 2231 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. A chiedere una revisione del «Joint Comprehensive Plan of Action» (Jcpoa) è la Casa Bianca ritenendolo il «peggior accordo di sempre» per tre ragioni convergenti addebitate agli errori negoziali commessi da Barack Obama: ha una durata limitata di 15 anni e dunque offre a Teheran la possibilità di diventare una potenza nucleare; non obbliga Teheran a sottoporsi a ispezioni a sorpresa nei siti militari dove in passato sono avvenute attività illegali; non include limiti ai vettori balistici che possono trasportare armi nucleari.
Il presidente americano Donald Trump si è rifiutato di certificare il rispetto dell’accordo di Vienna da parte di Teheran, rinviando l’adozione di nuove sanzioni all’Iran fino a maggio con l’evidente intenzione di offrire agli alleati europei l’opportunità di migliorare il testo prima di farlo cadere.
Le sanzioni Usa minacciano di colpire i legami economici che Teheran sta costruendo con molteplici Paesi europei e asiatici.
Francia, Gran Bretagna e Germania – i Paesi Ue protagonisti del negoziato di Vienna – hanno reagito in due tempi: prima si sono pronunciati assieme, all’unisono ed a fianco al ministro degli Esteri Ue Federica Mogherini, in difesa del trattato chiedendo agli Usa di «non abbandonarlo», ma poi hanno iniziato a mostrare significative aperture agli Stati Uniti.
La prima e più importante è venuta da Emmanuel Macron, presidente francese, che il 14 febbraio si è detto favorevole a «mettere sotto sorveglianza il programma missilistico iraniano» in quanto «in Yemen e Siria pone pericoli ai nostri alleati». Macron propone «un ciclo di negoziati fra i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza Onu e gli attori regionali in Medio Oriente» per affrontare il tema della proliferazione balistica iraniana evidenziato dagli attacchi dei ribelli yemeniti houthi contro l’Arabia Saudita, dalle migliaia di missili in possesso di Hezbollah in Libano e dalla costruzione di fabbriche di vettori iraniani in Siria. Da Londra è stato invece Alistair Burt, ministro di Stato per il Medio Oriente, a far sapere che «non vogliamo far cadere l’accordo di Vienna e dunque stiamo affrontando le preoccupazioni espresse dagli Usa» attraverso i messaggi recapitati dal segretario di Stato Rex Tillerson. In coincidenza con tali dichiarazioni Parigi e Londra hanno invitato l’Italia a partecipare al gruppo di contatto sull’Iran – che include anche la Germania – anche a seguito delle dichiarazioni fatte dal capo della Farnesina, Angelino Alfano, sulla proliferazione missilistica iraniana e il suo impatto destabilizzante in Medio Oriente. Nel primo incontro di questo gruppo Eu4 si è discusso ieri, a margine della conferenza sulla sicurezza in corso a Monaco di Baviera, di Yemen lasciando intendere la volontà europea di collaborare con la Casa Bianca nel ridurre l’impatto delle «guerre per procura» che Teheran conduce in Medio Oriente «ripetendo ovunque la formula degli Hezbollah» come spiegano a Washington.
La sovrapposizione fra volontà di rafforzare l’accordo di Vienna sul nucleare e necessità di arginare l’espansionismo iraniano in Medio Oriente disegna la cornice di un dialogo Usa-Ue che punta a definire un nuovo, complessivo, approccio alla Repubblica Islamica.