Libero, 19 febbraio 2018
Allarme fascisti. Prada mette la camicia nera
È risaputo che la casa di moda Prada visse la sua prima epoca d’oro durante il fascismo, quando era ancora guidata dal suo fondatore Mario. Ed è risaputo che, proprio in quegli anni, da boutique di lusso nel cuore di Milano divenne punto di riferimento nazionale e internazionale per gli accessori di pelletteria. Forse ispirandosi a quella storia e (...) lasciandosi trascinare da una strana forma di nostalgia, l’attuale titolare del marchio milionario, Miuccia Prada, insieme al marito Patrizio Bertelli ha dato vita negli spazi della Fondazione Prada a Milano alla mostra “Post Zang Tumb Tuuum. Art Life Politics: Italia 1918-1943”, che esibisce il fior fiore dell’arte e dell’architettura durante il Ventennio.
Curata da Germano Celant, aperta da ieri fino al prossimo 25 giugno, e con un richiamo già nel titolo alle creazioni linguistiche di Marinetti, l’esposizione non si limita a raccogliere le opere di alcuni giganti della cultura, scultura e pittura di quegli anni, da Carlo Carrà a Mario Sironi, da Giorgio Morandi a Gino Severini, o di campioni del cosiddetto futur-fascismo come Giacomo Balla. Ma inserisce i loro capolavori in un contesto, li associa a una mole impressionante di documenti, immagini, carteggi che ricreano l’atmosfera dell’epoca, fotografano l’humus culturale in cui vennero generati, il clima storico-politico che influenzò quelle opere e che quelle opere, a loro volta, contribuirono a influenzare in un fecondo scambio reciproco.
RITRATTO DI UN’ERA
L’attenzione alla temperie in cui agirono quegli artisti è testimoniata, d’altronde, dal nome della mostra che lega l’Arte alla Vita e alla Politica di quegli anni, facendone tutt’uno; e confermata dalla presentazione dei più grandi piani urbanistici e progetti architettonici del Ventennio, a partire dal programma E42, che avrebbe dovuto portare all’Esposizione universale di Roma nel 1942 e favorì il sorgere del quartiere Eur; nonché dal recupero e dalla proiezione dei cinegiornali di quel periodo che, attingendo alla retorica in voga, celebravano l’inaugurazione di grandi eventi e cerimonie ufficiali. Una mostra talmente ricca e ben documentata da far esclamare ieri a Il Sole 24 ore, insomma non proprio al Corriere del Fascio Littorio: «Il Ventennio, che bellezza!». Roba che, l’avesse fatto un giornale di destra, subito sarebbero scattate le procedure per sanzionare l’apologia di fascismo e censure e condanne preventive, da Fiano e Boldrini, contro la propaganda di regime.
Ma, dato che lo fanno i compagni ricchissimi dei salotti radical-chic, come i coniugi Prada, e i giornaloni degli industriali con strabismo a sinistra, allora che si dica pure «Viva il Duce». E che si celebri, e si riconosca finalmente, la grandezza, la bellezza, l’irripetibilità dell’arte fascista e quella straordinaria concentrazione e fioritura di geni, ultimo vero sussulto di una cultura originale, profondamente italiana, capace di essere apprezzata anche all’estero.
DEMONIZZAZIONE
E poco importa che, nel frattempo, gli stessi compagni a sinistra dicano peste e corna del fascismo, lo descrivano come minaccia incombente e «male assoluto» (copyright di Matteo Renzi), «la pagina più buia della nostra storia», come ha fatto ieri Minniti, o un periodo di cui non si può e non si deve salvare nulla, per dirla con Mattarella; o addirittura sottoscrivano registri, facciano appelli pubblici contro i rigurgiti totalitari, distribuiscano patenti di agibilità antifascista e mettano su ridicole anagrafi di cittadini probi, ostili al regime. Una farsa di demonizzazione politica del Pelatone che si coniuga paradossalmente al tributo ai capolavori di quell’epoca. E soprattutto allo sfruttamento commerciale del brand «fascismo» ormai diventato, per cinema, tv, case editrici, galleristi e tutta la cultura di massa e di nicchia, gallina dalle uova d’oro per fare quattrini. Lo dimostrano pellicole come “Sono tornato” di Luca Miniero, riproposizioni di film tv come il vecchio “Mussolini ultimo atto” di Lizzani o ripubblicazioni di libri sul tema come “L’eterno fascismo” di Eco e via discorrendo. Tutte imperniate sul Ventennio, le sue opere e i suoi protagonisti (che lo si celebri o lo si critichi poco importa, purché se ne parli) e tutte animate dall’intenzione di fare audience, di vendere copie, di aumentare visitatori, lettori, spettatori, ricorrendo a quella parolina magica: fascismo.
È meraviglioso vedere la cultura egemonizzata dalla sinistra affidarsi a mostre, documentari e fiction sul Ventennio per avere nuovo appeal. Ed è stupendo vedere altissimi rappresentanti della sinistra al caviale, come i coniugi Prada, quelli del sabato in barca a vela con Luna Rossa e la Bandiera Rossa in tasca, smetterla di essere compagni in cachemire e diventare compagni in camicia nera (firmata Prada, naturalmente).