Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  febbraio 20 Martedì calendario

Jennifer Lawrence: «Eccomi, sono cresciuta rompo il tabù del nudo e difendo le donne»

LOS ANGELES È forse la più nota e pagata superstar del mondo. A soli 27 anni Jennifer Lawrence continua a alzare l’asticella: dagli exploit di Hunger games, al successo del Lato positivo, al rischiosissimo (e molto contestato) Mother! del suo ex compagno Darren Aronovsky.
Il primo marzo arriverà sui nostri schermi (il giorno dopo su quelli americani) Red Sparrow, diretto da Francis Lawrence e tratto dal romanzo omonimo dell’ex spia Jason Matthews.
Il film è la storia dell’étoile del balletto russo, Dominika Egorova, che affronta un futuro incerto in seguito all’infortunio che pone fine alla sua carriera.
Dominika entra in contatto con la Sparrow School, un servizio segreto di spionaggio che addestra giovani eccezionalmente dotati a usare mente e corpo come armi. Al termine di un corso durissimo, lei si rivela un’apprendista spia letale. Ora che possiede nuove capacità incontra un agente della Cia (Joel Edgerton) che cerca di ingraziarsela. E sorprende apprendere che la scuola Sparrow sia esistita per davvero. L’attrice ne parla al London Hotel di Los Angeles dopo la proiezione del film in cui appare anche Jeremy Irons nel ruolo del generale russo Vladimir Korchnoi.
Jennifer, cos’era questa scuola?
«È stato un vero programma del Kgb, attivo anche in America. Film e libro si basano su dati di realtà, anche se la trama in sé, così come i personaggi, sono di finzione. La prospettiva di Matthews è assai intrigante».
Ancora un ruolo che prevede tante scene di nudo e violenza: nessuna perplessità?
«Certo, e confesso che prima di accettare sono stata molto agitata: sapevo che per certe scene sarei dovuta andare “all-in”. Ma se non l’avessi fatto io, l’avrebbe fatto qualcun’altra e probabilmente me ne sarei amaramente pentita. Mi sono buttata. Non c’era un modo “soffice” per raccontare questa storia spigolosa e ruvida».
Conosceva il regista dal primo “Hunger games”.
«Anche per questo ho accettato la parte: conosco Lawrence e mi fido di lui. Persino il cameraman era lo stesso di Hunger games. Insomma, una famiglia che conosco bene, mi sono sentita protetta».
E il nudo?
«Era necessario ai fini narrativi, impossibile girarci intorno. Anni fa dissi che non mi avreste mai visto le tette, beh, ho parlato troppo presto. Scommetto però che gli spettatori si sentiranno a disagio più per la storia dark che per i miei nudi! E comunque sono contenta di aver superato quell’inibizione, mi sono liberata di un peso, mi sento sollevata. Sono uscita dalla mia “comfort zone”. Sono cresciuta, mi sono rinforzata».
Nel film lei è un’étoile. Come ha affrontato le scene sulle punte?
«Quattro mesi prima delle riprese ho cominciato a studiare danza classica, i trucchi cinematografici rendono i movimenti credibili. E naturalmente ci sono le controfigure. Un po’ come ha fatto Margot Robbie, bravissima, in Tonya. Ma ho ballato anche nel Lato positivo. Certo, lì era una forma di ballo più scanzonata per fortuna perché ammetto di non essere troppo dotata... Ho apprezzato la disciplina della danza classica. E mi sono venute cosce ben tornite... ne avevo proprio bisogno!».
Il suo personaggio ha un rapporto commovente con la madre. Com’è quello con la sua?
«Vivo fuori casa da quando avevo 14 anni. Ma ne ho solo 27 e ancora sento il bisogno della mia mamma. Oggi non sarei qui se non fosse stato per lei, ha sacrificato tanto pur di permettermi di continuare questa carriera. Le chiedo un parere su tutto». Pausa: «Tranne che sui fidanzati!» (Ride).
Dominka ha superato tutte le sue paure. Cosa spaventaJennifer?
«Le interviste! Sopratutto quelle a quattr’occhi, non so mai cosa ne verrà fuori! Basta una parola “storta” e magari involontariamente offendi qualcuno e fai la parte della stronza! Non mi fa dormire la notte».
Come ha preso le reazioni negative a “Mother!”?
«Non m’interessano. Ho dato tutta me stessa in quel ruolo. È la stata la mia performance più impegnativa, e l’unica opinione che conta per me è la mia. Del resto Jack Nicholson vinse un Razzie (l’Oscar per la peggior interpretazione, ndr) per Shining.
Mi sento in buona compagnia».
Nella sua pur breve carriera lei ha già molto condizionato Hollywood, a partire dalla battaglia per l’equiparazione dei compensi per attrici e attori. Cosa altro vorrebbe cambiare?
«Vorrei vedere le donne pagate come gli uomini ovunque nel mondo. Hollywood è solo l’inizio!».
Quanto è coinvolta nei movimenti MeToo e Time’s Up?
«Lo sono come tutti. Alla fine stiamo solo cercando di eliminare quegli atteggiamenti che fanno sentire le donne a disagio sui posti di lavoro. Dopo il caso Weinstein, come altre colleghe, ho pensato: non voglio tornare su un red carpet a ripetere il solito stereotipo. Voglio soluzioni. Questo è lo spirito di Time’s up: non riuscite a difendervi da soli dagli abusi? Lo facciamo noi».