la Repubblica, 20 febbraio 2018
L’amaca
Se un ministro dello Sviluppo economico si permette di definire “gentaglia” i responsabili di un’azienda, aggiungendo che non vuole più perdere tempo in inutili colloqui, i casi sono due: o sta gravemente sbagliando nella forma, oppure ha ragione al punto che proprio quella forma corrisponde alla sostanza delle cose. Si propende per la seconda ipotesi: i brasiliani di Embraco (già il nome, va detto, non è seducente) vogliono licenziare i loro dipendenti italiani senza che nessuno sia d’impiccio, men che meno il governo con i suoi fondi di tutela, leggi cassa integrazione. Una protervia coloniale (capita spesso che le multinazionali trattino il mondo come una immensa colonia) che il ministro Calenda non considera accettabile.
È raro che la politica parli con chiarezza; e spesso quando cerca di farlo è volgare e stonata, tanto da far rimpiangere l’ipocrisia curiale del politichese. Carlo Calenda può permettersi di sbottare (lo aveva già fatto in occasione del suo scontro con il governatore di Puglia, Michele Emiliano, a proposito dell’Ilva) per l’ottima ragione che, prima e dopo l’incazzatura, sa quello che dice. Nella discutibile geografia politica del paese lo si potrebbe dire “moderato”, termine ormai tanto vago quanto “riformista”. Lo metterei piuttosto tra gli autorevoli, che sono una minoranza preziosa, e in quanto tale rivoluzionaria.
Se non esiste una corrente calendiana, è ora di fondarla.