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 2018  febbraio 20 Martedì calendario

La Valtellina teme e spera. «Senza banca qui si chiude»

SONDRIO Il posto giusto per saggiare la temperatura della città sulla crisi di una delle sue banche storiche, il Credito Valtellinese, è uno dei quattro caffè di piazza Garibaldi, pieno centro di Sondrio. La prima cosa che salta all’occhio è che la piazza è bellissima: il Comune l’ha riqualificata negli anni scorsi, insieme a piazza Campello e piazza Cavour (un’unica grande area interamente pedonale), con il contributo del Creval. Un piano di intervento urbano costruito sulla collaborazione tra pubblico e privato, già sperimentata qualche anno prima con la risistemazione del parco Adda Mallero. Se parli con i sondriesi, o ascolti le loro conversazioni davanti al caffè, hai un’altissima probabilità di incrociare persone che hanno interessi nella banca. Quasi tutti i valtellinesi che hanno qualche disponibilità economica l’hanno investita, almeno parzialmente, in azioni di uno, più probabilmente entrambi, gli istituti di credito del territorio. O più semplicemente perché, come sintetizza Nicola Giugni, presidente dell’Azienda energetica Valtellina e Valchiavenna, snodo dell’economia locale, «qui è difficile trovare una famiglia che non abbia almeno un figlio, un fratello o un parente che lavora in una delle banche sondriesi».
Vizi e virtù delle (ex) Popolari. Il radicamento territoriale è un valore, se significa occasioni di lavoro per i residenti e ricadute positive, attraverso gli introiti dell’indotto e il finanziamento delle attività produttive, per le imprese della zona. La Valtellina, dalle sue due banche, ha avuto storicamente benefici enormi.
«Noi siamo di fatto una Provincia autonoma – argomenta Mario Cotelli, ex ct della Valanga azzurra, oggi manager – e lo siamo grazie alle nostre due banche che hanno svolto le funzioni di aiuto al territorio tipiche delle amministrazioni pubbliche».
Ma il radicamento territoriale diventa un problema se il gruppo dirigente si arrocca e perpetua negli anni il proprio dominio sull’istituto. E se questo diventa la premessa per la concessione dei fidi secondo logiche diverse dal merito di credito, o nei casi patologici secondo la logica dei parenti o degli amici di quel gruppo di potere. Ora, il Credito Valtellinese è arrivato ad avere in pancia oltre 4 miliardi di crediti deteriorati, quindi non c’è dubbio che qualche problema nella gestione degli affidamenti ci sia.
«Ma Sondrio non è Vicenza – chiosa Giugni – qui c’è preoccupazione, anche delusione, ma nessuno mette in dubbio la buona fede degli amministratori.
Queste persone le conosciamo tutte, le incontriamo in giro per la città e sappiamo che quello che è accaduto è principalmente la conseguenza della grande recessione internazionale.
Semmai – ammette Giugni – qualche dubbio c’è sul fatto che in banca ci fossero le competenze adeguate per la complessità di quella crisi». Torniamo al tema del gruppo di potere che regna da decenni nello storico Palazzo Sertoli, immerso in un giardino punteggiato di sculture a cielo aperto. Prima Giovanni De Censi, poi il suo successore Miro Fiordi, ciellino, una vita al Valtellinese, dal 2003 direttore generale, poi amministratore delegato, ora presidente. Stessa storia per il direttore generale Mauro Salvetti, al Creval dal 1981, nella scia di Fiordi, che è nella scia di De Censi.
«Qualche moto di rabbia nei confronti di quegli amministratori in effetti c’è – ammette Alcide Molteni, sindaco (popolarissimo) al suo quarto mandato, in scadenza – Ci sono famiglie che con la picchiata delle quotazioni hanno visto andare in fumo decine di migliaia di euro di risparmi. Le liquidazioni di una vita, i soldi messi da parte per i figli. A loro oggi viene chiesto di rimetter mano al portafoglio per un altro gesto di fiducia in questo gruppo dirigente. Il punto è che l’ostentata tutela degli interessi locali alla prova dei fatti era soltanto un’enunciazione. Sono stati concessi prestiti con troppa disinvoltura, sono state finanziate acquisizioni che con la Valtellina non hanno niente a che vedere, e questo è il risultato». Non solo. A Sondrio parecchi fanno notare che durante gli anni della grande crisi, anche quando la banca ha chiesto soldi ai soci (400 milioni nel 2014, altri 700 con l’aumento di capitale partito ieri in un clima borsistico tutt’altro che festoso, con il titolo in ribasso di un altro 7% e il diritto in caduta del 66%) le retribuzioni dei manager sono rimaste intatte. Non pochi soldi: il presidente Fiordi, per dire, negli ultimi tre anni ha messo insieme quasi 3 milioni e mezzo di euro tra stipendi e benefit.
Il dubbio dei piccoli azionisti del Valtellinese è a questo punto se continuare a dar credito a questo management. «L’aumento di capitale è il modo per ristabilire la fiducia con i soci storici, cui faccio appello perché valutino con attenzione e serenità», ha detto Fiordi al polo fieristico di Morbegno, il 19 dicembre scorso, davanti a 566 azionisti, molti dei quali infuriati. Ma la fiducia costa cara (a coloro ai quali viene richiesta): chi ha in portafoglio mille azioni, che ieri sera valevano grosso modo 2.400 euro, ne deve sborsare 63mila per mantenere la sua quota. D’altra parte non sottoscrivere l’aumento di capitale significa veder praticamente azzerato il valore del proprio investimento.
E quello del portafoglio non è l’unico problema per i valtellinesi: «Dal futuro dei nostri istituti dipendono non soltanto migliaia di posti di lavoro, che sarebbero a rischio se il Valtellinese finisse annesso a gruppi bancari che non hanno nulla a che vedere con il territorio – dice ancora il sindaco Molteni – ma anche tutto l’indotto, il commercio, la ristorazione, l’accoglienza, l’edilizia, che girano intorno alle due banche di Sondrio». La soluzione ci sarebbe, ma fin qui i dirimpettai della Popolare di Sondrio (che ha molti meno problemi del Valtellinese) l’hanno sempre esclusa: quella della fusione tra le due banche locali. Mario Cotelli la rilancia con forza: «L’unione delle forze è l’unica soluzione possibile. I valtellinesi forse non l’hanno ancora pienamente compreso, ma qui si rischia la morte della Valle».