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 2018  febbraio 20 Martedì calendario

Inviato del Papa in Cile per gli abusi sui minori. E lo scandalo si allarga

CITTÀ DEL VATICANO L’arcivescovo di Malta Charles Scicluna, uomo di punta del Vaticano nelle indagini contro gli abusi su minori, è arrivato in Cile per la missione che gli ha affidato papa Francesco: da oggi a venerdì ascolterà a Santiago le vittime del prete pedofilo Fernando Karadima sulla vicenda di monsignor Juan Barros, il vescovo di Osorno che di Karadima fu discepolo ed è accusato di averlo coperto.
Ma ormai non si tratta più del solo «caso Barros», che ha scandito di contestazioni il viaggio recente di Francesco in Cile. L’indagine dell’inviato del Papa fa vacillare i vertici della Chiesa cilena, a cominciare dai cardinali Ricardo Ezzati e Francisco Javier Errázuriz: l’arcivescovo di Santiago e l’emerito che fa parte del «C9», il gruppo di consiglio del Pontefice, proprio come il cardinale Seán O’Malley, presidente della commissione vaticana per la tutela dei minori.
Prima di arrivare a Santiago, monsignor Scicluna ha fatto tappa negli Stati Uniti; in una parrocchia di Manhattan, ha parlato per quattro ore con Juan Carlos Cruz, una delle vittime di Karadima, che accusa Barros di avere assistito alle violenze e insabbiato. Cruz ha detto che l’incontro è andato bene, «per la prima volta dal 2009 ho avuto la sensazione di essere ascoltato, abbiamo pregato assieme». Soprattutto ha raccontato che «non solo mi hanno chiesto di Barros ma anche dei cardinali Errázuriz e Ezzati e di altri vescovi. Ho l’impressione che Barros sia il tema centrale però la cosa sia molto più grande di lui».
Scicluna mette ogni audizione a verbale, al ritorno consegnerà tutto a Francesco. Cruz gli ha dato due lettere che scrisse nel 2015, senza avere riposta, al nunzio e al Papa. A Santiago, Scicluna ascolterà le vittime James Hamiltón e José Andrés Murillo e un gruppo di fedeli di Osorno. Secondo Cruz, potrebbero essere sentiti anche i cardinali e altri tre vescovi accusati dalle vittime, Koljatic, Valenzuela e Arteaga, pure loro nella «fraternità» di Karadima e divenuti vescovi, come Barros, ai tempi di Wojtyla. «Nella Chiesa cilena c’è una macchina per insabbiare», dice Cruz.
Tre anni fa saltarono fuori delle mail tra i due cardinali, preoccupati dalla possibilità che Juan Cruz fosse nominato nella commissione vaticana antipedofilia: «Sarebbe molto grave per la Chiesa in Cile. Significherebbe dare credito ad una elaborazione che il signor Cruz ha costruito astutamente».
La popolarità della Chiesa nel Paese non è mai stata così bassa. È stato Francesco, il 16 gennaio, a chiedere perdono ed esprimere «dolore e vergogna». Su Barros però aveva esclamato: «Non c’è l’ombra di una prova, sono calunnie». Nel volo di ritorno si era scusato («so che molta gente abusata non può portare prove») ma aveva spiegato di aver respinto per due volte le dimissioni di Barros dopo avergli parlato, di essere «convinto sia innocente» e di non poter condannare senza «evidenze»: «Io non ho sentito nessuna vittima di Barros, non si sono presentate. Se una mi dà evidenze, ho il cuore aperto».
Pochi giorni dopo, il Vaticano informava che «a seguito di alcune informazioni recentemente pervenute» Francesco avrebbe inviato Scicluna in Cile.