Corriere della Sera, 20 febbraio 2018
Il liceo, il lavoro, la Juve tra monarchia e nobiltà. Paolo e Antonio: ecco i gemelli diversi
ROMA Gemelli diversi. Anzi, gemelli su schieramenti avversi. Ci sono tanti punti di contatto nella storia personale di Paolo Gentiloni e Antonio Tajani, i due (quasi) candidati premier per il Pd e per Forza Italia. Stessa città, Roma. Stesso passato da giornalista prima di entrare in politica. Stesso ruolo da portavoce a fare da trampolino. Quasi stessa classe, intesa come anno di nascita: Gentiloni del ’54, Tajani del ’53. Soprattutto stessa scuola, il Tasso, il liceo della borghesia romana. Perché è proprio lì, davanti al Tasso, che va in scena il più importante tra i punti di contatto nella storia dei gemelli diversi. Contatto fisico, anche se non diretto tra loro.
Siamo all’inizio degli anni 70 e i contorni sono un po’ sfocati dalla leggenda, come per molti episodi di quel periodo. Tajani è uno dei leader degli studenti di destra. All’uscita di scuola viene picchiato da quattro operai scesi quasi al volo da una macchina. Davanti al portone del Tasso c’è anche Gentiloni, che invece è tra i capi degli studenti di sinistra. Dopo quell’episodio Tajani è costretto a cambiare scuola. In quello stesso periodo Gentiloni scappa di casa, va a Milano per partecipare a una manifestazione, conosce Mario Capanna e il suo Movimento studentesco. I due futuri candidati premier si perdono di vista per un po’. Eppure è proprio da quell’episodio, impressionante per entrambi, che nasce un rapporto diretto fatto oggi di telefonate, messaggini e una certa stima. Chiamarla amicizia sarebbe troppo ma ci siamo quasi. «Già all’epoca Gentiloni era Gentiloni» racconta Maurizio Gasparri, anche lui al Tasso in quegli anni. In che senso? «Non era certo un picchiatore. Con lui si poteva parlare, c’era rispetto». Dirà anni dopo un esperto del ramo come Clemente Mastella: «L’impossibilità di fartelo nemico è la forza di Gentiloni, il motivo per cui è arrivato a Palazzo Chigi». Anche il suo gemello diverso Tajani tende ad avere buoni rapporti con tutti. Forse è una malattia professionale, contratta negli anni in cui lavoravano come portavoce: Gentiloni di Rutelli sindaco di Roma, Tajani di Berlusconi nel momento della discesa in campo, nel ‘94. E qui torniamo alle loro vite in parallelo.
Tutti e due hanno tentato, senza successo, di fare il sindaco di Roma. Tajani sconfitto con onore da Walter Veltroni nel 2001: 52% a 48% al ballottaggio. La corsa verso il Campidoglio di Gentiloni si ferma alle primarie, nel 2013: terzo con appena il 15% dei voti dietro Ignazio Marino, che poi diventerà sindaco, e un altro giornalista, David Sassoli. Tutti e due hanno un certo rapporto con l’aristocrazia. Tajani è stato vicesegretario del Fronte monarchico giovanile, sul suo rapporto con Berlusconi i maligni dicono che «ancora adesso ha bisogno di un re». Gentiloni è nobile di suo, discendente della famiglia dei conti Gentiloni Silveri di Filottrano, Cingoli e Macerata. La loro carriera giornalistica è stata breve ma abbastanza movimentata. Gentiloni ha scritto per Fronte popolare, Pace e Guerra, una rivista di Luciana Castellina, tra i fondatori del manifesto. Per poi dirigere il mensile di Legambiente, La nuova ecologia. Tajani comincia al Settimanale, periodico di destra, poi diventa conduttore del Gr1 e infine capo della redazione romana del Giornale dove, come racconta uno dei colleghi dell’epoca, Giancarlo Perna, lo consideravano «un po’ fighetto».
Una cosa li divide, lo sport. Tajani ama fare lunghe passeggiate in montagna, specie sugli Ernici, in Ciociaria, luogo d’origine della sua famiglia. Gentiloni è un tennista temuto per il rovescio smorzato che piazza ogni cinque dritti a fondo campo, una tattica sottile, quasi un programma politico. Nel tifo tornano gemelli, ma sempre diversi. Sono juventini, scelta temeraria per chi vive a Roma. Tajani tendenza sfegatato, con tanto di viaggio a Cardiff per l’ultima finale di Champions. Gentiloni quasi sotto copertura. Si è «tradito» con un tweet «Mamma mia che Juve!» dopo un 3 a 0 al Chelsea. Poi basta. Meglio non esagerare.