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 2018  febbraio 20 Martedì calendario

Schede vendute o contraffatte in 12 anni d’inchieste e tradimenti

Lo scandalo vero del brogli all’estero è che qualcuno ancora se ne scandalizza e finge stupore, come se in 12 anni mai ci fossero state denunce, inchieste, prove tivù, presunti colpevoli e rei confessi. Non si contano i servizi di Striscia la notizia e delle Iene, che ai telespettatori provocano ormai sbadigli per quante volte li hanno mandati in onda, e poi perché i trucchi sono sempre gli stessi, stranoti, collaudati, ormai grandi classici quanto possono esserlo il gioco delle tre carte o la vendita ai turisti del Colosseo. Le schede destinate ai connazionali vengono contraffatte, falsificate, fotocopiate, sottratte ai legittimi proprietari, prestampate con tanto di croce sul candidato, cestinate, bruciate, comprate e rivendute per 5-10 euro ciascuna: prezzi in fondo da veri barboni, perché a votare nelle quattro circoscrizioni estere sono in media 900 mila connazionali o poco più; qualche politico molto ricco, volendo, con una decina di milioni in dollari si porterebbe a casa tutti e 12 i deputati, oltre ai 6 senatori eletti in Europa e nelle terre d’oltremare. Magari con quei voti, se fossero determinanti, potrebbe mettere su perfino un governo.
Buste e bustarelle
Adesso è troppo facile scaricarne la colpa su Mirko Tremaglia, buonanima, che nel nome di un’idea tanto cara alla destra patriottarda, condita dalla retorica sul duro lavoro dei nostri emigrati, della nostalgia di casa e della mamma lontana, per un ventennio ha fatto lobbing asfissiante fino a strappare nel 2001 la legge che porta il suo nome. Da allora, fuori confine è consentito votare per posta, con il plico che ti arriva direttamente a casa se sei iscritto all’Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero), e poi lo rispedisci in busta chiusa col francobollo ordinario, oppure lo depositi a un consolato. È in questo viavai di buste che accade di tutto. Quando le schede pervengono finalmente a Castelnuovo di Porto, per essere scrutinate nei capannoni della Protezione civile, il broglio è già alle spalle: voti multipli, schede farlocche, elettori defunti, irregolarità a cascata. Il primo a denunciare lo sconcio fu proprio Tremaglia quando la «sua» legge venne inaugurata alle elezioni politiche nel 2006, quelle in cui Romano Prodi vinse di un soffio e rimase appeso per due anni al voto di un singolo senatore italo-argentino che alla fine lo tradì: l’indimenticato Luigi Pallaro, eletto dall’Associazione Italiani in Sud America, inizialmente vicino al Cav e poi passato a sinistra su invito (è un eufemismo) dell’allora presidente peronista Néstor Kirchner, salvo tornato in extremis alla corte di Arcore.
Lacrime di coccodrillo
Tranne la Farnesina, nessuno ha mai mosso un dito per cambiare regole e procedure. Dunque è lecito immaginare nuove puntate di questa sequel e ulteriori lacrime di coccodrillo. Si vede che ci sta bene così o, forse, che ne vediamo di ben peggio. Non per nulla, secondo «el senador» Pallante il voto all’estero «è in genere più pulito che in Italia», esprime un’onestà di fondo a dispetto dei metodi banditeschi e di certe facce ostentate da molti eletti, gente forgiata dalla vita da cui talvolta non compreresti l’auto usata, con nomi e provenienze su cui si scatena puntuale il pregiudizio radical-chic. Antonio Razzi ne è diventato a suo modo il simbolo: eletto in Svizzera con Di Pietro, transitò con Scilipoti da Silvio all’epoca dei «responsabili», fino a diventare in un crescendo grande estimatore del leader coreano Kim Jong-un. Ma la vetta più inarrivabile venne toccata un decennio fa dal movimento Italiani nel Mondo. C’è ancora una foto a immortalarli tutti insieme, quattro senatori e un deputato eletti all’estero, abbigliati senza volere in perfetto stile Blues Brothers o, se si preferisce, Sopranos: Juan Esteban Caselli (detto «El obispo», il vescovo, che la spuntò in Argentina dopo un misterioso rogo di schede a danno della candidata rivale), Basilio Giordano, Amato Berardi, Nicola Di Girolamo (poi inseguito e acchiappato dalla giustizia per legami con la ’ndrangheta, oltre chiaramente ai brogli), e infine Sergio De Gregorio, il loro leader, che in seguito confessò al pm Henry John Woodcock di aver percepito un paio di milioni dal solito Berlusconi per far cadere il solito Prodi. Come si vede, i pasticci sulle schede sono decisamente il meno. E perfino su queste marachelle si passerebbe sopra, qualora gli eletti sapessero farsi apprezzare. Ma nell’arco di tre legislature non hanno ancora lasciato un segno. E quando si vedono liste che promettono «Free flights to Italy», voli gratis per l’Italia, è inutile domandarsi chi pagherebbe il biglietto: chiaramente noi.