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 2018  febbraio 20 Martedì calendario

L’uomo-pecora e i trapianti del futuro

Per la prima volta è stato creato un embrione ibrido pecora-uomo, una cellula su 10 mila di questa nuova bestia è umana. Voglio dire, nel caso non sia chiaro: esiste a questo punto una creatura che al 99,99% è una pecora, ma allo 0,01% un essere umano. Chi ha lavorato al progetto pensa soprattutto alla donazione di organi.  

Come hanno chiamato l’animale? Pecomo? Omecora?
La smetta, il fatto è molto serio e con implicazioni etiche enormi. Un team della Stanford University, in California, ha introdotto cellule staminali adulte riprogrammate nell’embrione di pecora, che poi è stato lasciato crescere per 28 giorni. L’esperimento era stato autorizzato per un limite di tempo massimo di 28 giorni, di cui 21 da trascorrere nell’utero dell’animale. In questo lasso di tempo le cellule umane si sono riprodotte. «Anche se c’è molto da lavorare – ha detto Pablo Ross, uno degli autori della ricerca – gli organi prodotti in queste “chimere interspecie” potrebbero un giorno costituire un modo per soddisfare la domanda di organi, trapiantando ad esempio un pancreas ibridizzato in un paziente». È stata scelta la pecora perché ha molti vantaggi rispetto ad altre specie animali: ha organi di dimensioni simili a quelli umani e bastano quattro embrioni per far iniziare una gravidanza.  

E questi trapianti potrebbero davvero funzionare?
Uno dei problemi principali per gli xenotrapianti, cioè i trapianti negli uomini di organi provenienti da altre specie, è il rigetto, mentre l’altro pericolo è la possibile infezione con virus animali. Gli scienziati sostengono che, grazie alle nuove tecniche di editing del Dna, si possono modificare geneticamente gli organi perché siano compatibili con il sistema immunitario del paziente che li riceve. Utilizzando le cellule del paziente si annullerebbe il rischio del rigetto. Perché un trapianto possa funzionare gli esperti ritengono che la percentuale di cellule umane in una chimera debba essere almeno dell’uno per cento (e non 1 su 10.000). Siamo ancora lontani  

È la prima volta che si tenta di creare un ibrido uomo-animale?
Nell’agosto dello scorso anno era stato realizzato un embrione di uomo e maiale, dallo stesso gruppo di ricerca dell’Università della California. In quel caso però dove le cellule umane erano una su 100 mila, mentre oggi con la pecora sono una su 10 mila. Il primo tentativo di cui abbiamo conoscenza è quello dell’Università della California. A San Francisco nel 1997 il gruppo guidato dal biologo Roger Pedersen aveva trasferito nuclei di cellule umane all’interno di ovociti di scimmie. L’esperimento fallì per l’incompatibilità fra il Dna umano e quello mitocondriale degli animali. L’anno successivo invece la Advanced Cell Technology, una piccola compagnia statunitense, affermò di essere riuscita ad ottenere cinque embrioni chimera con la stessa tecnica. Negli anni successivi le cronache riportarono il caso di Panayiotis Zavos, un ricercatore dell’università del Kentucky che nel 2003 affermò di aver ottenuto embrioni uomo-mucca sopravvissuti per una notte, e quello della Shanghai Second Medical University, che nello stesso anno annunciò la creazione di ibridi uomo-coniglio. Infine, nel 2004 la Mayo Clinic in Minnesota ha prodotto maiali con cellule del sangue umane e nel 2005 il Salk Institute ha sostenuto di aver ottenuto un topo con lo 0,001% di cellule umane.   

Reazioni alla notizia?
Com’era immaginabile sono arrivate le condanne dal mondo cattolico, sempre attentissimo ai confini tra ricerca scientifica e bioetica. Le cito prima il direttore del Centro di Ateneo di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Adriano Pessina: «L’uomo, la persona umana, non può essere esposta, in termini simbolici e in termini biologici, alla possibilità di una ibridazione, per ora di un insieme di cellule, di cui non si possono prevedere né gli esiti né l’estensione». Mentre il genetista Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, critica l’aspetto scientifico dell’esperimento: «Se l’idea è usare questo metodo in funzione dei trapianti, se si ha una cellula umana insieme a una animale non si risolve il problema del rigetto. I ricercatori sostengono che attraverso le tecniche di gene editing, tra cui il Crispr, riusciranno a rimuovere anche questo problema togliendo i geni, ma io ho forti perplessità. La tecnica Crispr è ancora nelle prime fasi di sviluppo e non dà garanzie. Ne parlano tutti, e nonostante i miglioramenti continui, alcuni anche grazie alla ricerca italiana, ancora ci sono molti problemi da risolvere, il primo dei quali è che la tecnica corregge il Dna da una parte, ma può produrre errori da un’altra». In Italia, in ogni caso, il tipo di ricerca realizzato dalla Stanford University è vietato dalla legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita.  

• Lei sarebbe disposto a farsdi mettere in corpo un organo proveniente da una pecora?
Io sì. Oggi in Italia circa 9.000 persone sono in attesa di trapianto. Ogni giorno negli Stati Uniti muoiono 22 persone che aspettano un nuovo organo. Tra l’altro, oggi circa la metà dei trapiantati va comunque incontro a rigetto dopo circa 15 anni dall’intervento. Che sia attraverso le stampanti 3-D, gli organi meccanici, o appunto gli ibridi uomo-animale, credo che l’importante sia che la scienza trovi una strada che salvi più persone possibili.