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 2018  febbraio 19 Lunedì calendario

Ritratto di papa Francesco

   Il patto -si dice- tra Jorge Mario Bergoglio e i cardinali non di curia è stato: tu ripulisci il Vaticano, noi ti facciamo papa. Così il 13 marzo 2013, i porporati di Sudamerica, Africa e Nord Europa hanno fatto convergere i voti su di lui. Bergoglio ha preso il nome di Francesco, il poverello di Assisi, dichiarando di volere una Chiesa povera per i poveri, opposta all’andazzo romano. Per realizzare l’operazione, il conclave, come ha detto sorridendo il neoeletto, è andato a prendere un gesuita “quasi alla fine del mondo”. Con sottigliezza rinascimentale, è stato scelto un oriundo da contrappore ai potenti italiani dei palazzi petrini.
   Salito in cattedra, Francesco ha assunto 2 facce. Paterna per le folle in piazza San Pietro, arcigna invece nei riguardi dei confratelli dentro le mura vaticane. Gli addetti ai lavori raccontano di sue reprimende al limite dell’umiliazione. Già la scelta di abitare a Santa Marta è un ammonimento per i porporati, come Tarcisio Bertone, che vivono nel lusso. Francesco però predilige lo scontro diretto. Si racconta del suo intervento alla festa dei 75 anni di un prelato. La visita del pontefice in quell’angolo di città leonina era inattesa e il festeggiato, commosso, si prosternò. Poi, lo pregò di fissargli l’incontro in cui presentare le dimissioni per raggiunti limiti di età (uso introdotto da Paolo VI, che il papa può ignorare ad libitum). “Non dobbiamo affatto rivederci -replicò Francesco spiccio-. Il suo incarico è finito e da domani non potrà più stare in Vaticano”. Il poveretto impietrì, le mani sul volto. Nel 2012 anche Bergoglio, compiuti i 75 anni, aveva presentato le dimissioni da primate argentino. Benedetto XVI le rifiutò e l’anno dopo gli consegnò la ferula.
   Con la stessa grinta, il papa boarense ha commissariato nell’aprile 2017 l’Ordine di Malta (Smom). In un braccio di ferro tra cavalieri tradizionalisti e modernisti, Francesco si è schierato coi secondi. Terreno dello scontro, un carico di preservativi. A fine 2016, l’allora Gran Maestro, l’inglese Matthew Festing, aveva deciso di sbattere fuori il Gran Cancelliere, il tedesco Albrecht von Boeselager, colpevole di avere autorizzato la distribuzione di profilattici negli ospedali smom in Africa. Il conservatore Festing, giudicando l’iniziativa contraria alla dottrina della Chiesa (come ribadito da Ratzinger anni fa), chiedeva la testa del progressista tedesco. Con costui, però, si è allineato Francesco. Così, a uscire con le pive nel sacco è stato il Gran Maestro e, per la proprietà transitiva, il papa emerito predecessore dell’argentino. Ora, l’Ordine di Malta è in mano a un luogotenente papale fino alla scadenza del mandato in aprile. Quando si riapriranno i giochi, vedremo scintille.
   Ho accennato che alla severità verso i religiosi fa da contraltare la bonomia con i fedeli. C’è un solo peccato mortale nella teologia di Francesco: la frenesia per il denaro. Sugli altri tradizionali tabù cattolici -eutanasia, aborto, divorzio, omosessualità, ecc.- il papa passa sopra con la formula usata per i gay: “Chi sono io per giudicare?”. Vedendolo buono e caro nei riguardi del mondo e dispotico in Curia, alcuni vaticanisti hanno scritto che il papa “gronda misericordia da tutti gli artigli”.
   Sempre per appoggiare i novatori contro le tradizioni, il papa ha anche raso al suolo l’ordine dei Frati francescani dell’Immacolata, preti e suore. I Ffi sono commissariati da 5 anni col divieto di accogliere conversi. Poiché dicono messa in latino, l’accusa è di “deriva lefevriana”. Ad accanirsi, è Joao Braz de Avril, cardinale brasiliano e fiduciario di Bergoglio, che gli imputa di essere filo tridentini e avversi alla “nouvelle théologie” del Concilio Vaticano II. Per esprimere la propria indignazione, Braz de Avril ha detto maiestaticamente: “Stiamo comprendendo di più Lutero”, il già eretico che spazzò con la ramazza la Chiesa romana.
   Riabilitare Martin Lutero è un’altra innovazione del cattolicesimo sudamericano di Bergoglio. Lutero, considerato dalle nostre parti un seminatore di zizzania -ma anche Stefan Zweig, ebreo, lo giudicava un tipaccio, preferendogli Erasmo da Rotterdam- è ora entrato nel pantheon di Santa Marta. Nelle onoranze per i 500 anni della Riforma, nel 2016, Francesco è stato più sollecito di un pastore di Brema. Per l’occasione, ha fatto emettere un francobollo commemorativo e in Vaticano ha piazzato un busto di Martin che definiva la chiesa di cui è capo “latrina, sterco e fango”. Poi, è partito in Svezia per festeggiare lo scisma. Si ignora se Sant’Ignazio, che fondò i gesuiti per contrastare la riforma, si sia rivoltato nella tomba di fronte alle bislaccherie del suo seguace in pallio.
   Con la stessa logica, è entrata nelle grazie papali la radicale Emma Bonino. Francesco l’ha definita “una grande italiana” e pare le telefoni come fa con Eugenio Scalfari, altro laicone. Contemporaneamente, l’agenzia di stampa dei vescovi ha licenziato, Danilo Quinto, un ex radicale convertito che ha raccontato in un libro le pratiche abortive cui si dava Bonino 40 anni fa. In nome del dialogo, il papa si è dunque adeguato all’onda del secolo: rinnegare i propri usi per aprirsi a quelli estranei. Perciò condanna la tradizione, annacqua i dogmi, smorza i riti. All’opposto, esalta le religioni altrui, i sincretismi, il rimescolamento delle genti. Con Francesco, l’ecumenismo cattolico che doveva conquistare il mondo, si è dissolto nel mondo invece di permearlo.
   Il cambio di rotta non è sfuggito alla massoneria che ha nell’universalismo la sua bandiera. Per la prima volta un papa ha mietuto tra gli adepti del Grande Architetto caterve di riconoscimenti per avere cancellato punti fermi e spuntato intransigenze. Uno studio, pubblicato dal vaticanista della Stampa, Marco Tosatti, ha raccolto 63 elogi massonici dal 2103 a oggi. Si va dalle logge italiane, alla ebraica B’nai B’rith, alle statunitensi, al Grande oriente do Brazil, al Fenixnews, l’agenzia in lingua spagnola dei liberi muratori. Per li rami, è rimbalzata la notizia di una visita nel 2006 del cardinale Bergoglio a Licio Gelli, quello della P2, a villa Wanda.
   Accantonati i porporati italiani legati alle passate gestioni curiali, normalizzato l’Osservatore Romano, oggi detto Osservatore Argentino, Francesco si è circondato di sudamericani. Costoro, sono uno spasso anche ai miei occhi di indifferente. Monsignor Sanchez Sorondo, argentino e cancelliere della Pontificia Accademia della Scienze, ha sostenuto che il regime cinese è il migliore realizzatore della dottrina sociale della Chiesa. “Laggiù -ha detto- c’è lavoro, lavoro.. non le favele, non la droga, solo una coscienza nazionale positiva”. Nello zelo di raccomandarcelo, ha dimenticato Laogai (Lager, ndr), persecuzioni e il record mondiale di condanne a morte. Un altro, il neo preposito dei Gesuiti, Arturo Sosa, venezuelano, già gli basterebbe per restare impresso, i baffetti che porta, mai visti in un prete. Ma, liquidando come farisei i cristiani che vietano questo e quello in base ai Vangeli, ha anche detto: “Su ciò che ha veramente detto Gesù bisogna fare una bella riflessione. Al tempo nessuno aveva il registratore”. 2.000 anni di fede buttati alle ortiche. La Chiesa d’oggi.