Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  febbraio 17 Sabato calendario

Il dumping fiscale nell’Unione Europea e la vigilanza Bce

Prendendo spunto dalle vicende Embraco e Honeywell, la prima che ha deciso di trasferire la produzione in Slovacchia e la seconda che vorrebbe chiudere gli stabilimenti in Val di Sangro, in Abruzzo, con consistenti licenziamenti nell’uno e nell’altro caso, il ministro Carlo Calenda ha scritto alla commissaria Ue alla concorrenza Margrethe Vestager per chiedere che siano monitorate le politiche fiscali e di incentivi adottate dal governo slovacco al fine di accertare la compatibilità con le norme europee. L’ipotesi è che siano in atto scelte di dumping fiscale, innanzitutto, per attrarre l’insediamento di stabilimenti industriali con gravi conseguenze sociali per i Paesi, in questo caso l’ Italia, dai quali si delocalizza. Calenda ha messo il dito sulla piaga tirando in ballo le condotte di diversi Paesi dell’est che beneficiano di sostegni europei, ma poi agiscono come se fossero al di sopra delle leggi per quel che riguarda l’osservanza della normativa comunitaria. E questo in effetti il modo più comodo di stare nell’Unione, dove la Commissione, se Paesi fondatori come l’Italia, si azzardano anche alla lontana a progettare una qualche fiscalità di vantaggio in questo o quel caso circoscritto, interviene prontamente a censurare e ad avviare procedure di infrazione, mentre appare non dello stesso tipo il monitoraggio per questi Paesi che, in effetti, si sono così ritagliati una condizione privilegiata traendo benefici dall’adesione all’Unione ma non partecipando a quegli svantaggi che sono dati dal non potere manovrare a piacimento il fisco, la finanza pubblica e la concorrenza. Insomma, una sorta di patto leonino per cui si partecipa ai benefici ma non alle perdite (in questo caso, ai vincoli). Comportamenti del genere, che in passato hanno riguardato anche l’Irlanda, se non interrotti potrebbero paradossalmente stimolare atti emulativi in altri Paesi causando una sorta di conflittualità fiscale che sarebbe assurda se praticata all’interno dell’Unione. Fatti i dovuti cambiamenti, è la stessa disparità che si verifica nell’esercizio della Vigilanza della Bce, che appare morbida nei confronti dei titoli illiquidi emessi da intermediari di alcuni Paesi, in questo caso dell’Eurozona, e parossisticamente severa nei confronti di altre forme di rischio che riguardano istituti di credito di altri Paesi, fra i quali l’Italia; oppure che si rileva nelle posizioni di comando all’interno della struttura della stessa Vigilanza in cui non abbonda di certo la presenza italiana, con la singolare motivazione che il presidente della Bce è italiano e tanto basta. Ultimo è il caso dell’Ungheria, che ha deliberato arbitrari ostacoli e limitazioni all’attività delle ong. Il soddisfacimento di questa diffusa esigenza di par condicio nell’Unione e nell’Eurozona deve essere l’obiettivo del governo, quale che sia, dopo il voto del 4 marzo.