Il Messaggero, 18 febbraio 2018
I certificati online solo in 62 Comuni
ROMA La riforma digitale va a passo di lumaca. Così l’Italia resta il fanalino di coda nella Ue (siamo al 25° posto su 28 nella classifica sull’innovazione). I motivi sono sotto gli occhi di tutti. Siamo partiti in ritardo rispetto agli altri Paesi. Paghiamo poi a caro prezzo un deficit di competenze tecniche dei dirigenti pubblici oltre che la consueta e atavica lentezza a cambiare passo.
DISCONNESSI
I Comuni – è il dato che emerge dall’ultimo rapporto del Politecnico di Milano – non si parlano tra loro, quasi fossero gelosi dei propri documenti. Stesso discorso riguarda le altre pubbliche amministrazioni: dagli ospedali alle scuole, dall’Inps ai commissariati, dal catasto alle procure fino alle camere di commercio. Eppure tra il 2013 e il 2015 sono stati spesi 5,6 miliardi per cambiare pelle e spingere forte sul digitale. Non solo. È stato varato un piano triennale ed è arrivata la Spid, il sistema pubblico di identità digitale, per accedere a tutti i servizi delle Pa. Peccato che nessuno o quasi offra questi servizi on line.
IL PIANO
L’anagrafe digitale unica (Anpr) è un progetto partito nel lontano 2011, ma ben lungi dall’essere concluso. Così solo 62 Comuni su gli oltre 8 mila del Belpaese si sono dotati di un sistema aperto per condividere con i cittadini-utenti e le altre amministrazioni i certificati on line (dalla residenza allo stato di famiglia, a quello di nascita). Un semplice clic e si ottiene quello che si vuole, senza dover viaggiare da un paese all’altro per ritirare il pezzo di carta. «Si tratta – spiega al Messaggero Luca Gastaldi che guida l’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano – di un dato sconfortante ma che la dice lunga su come le banche dati pubbliche non si parlino». Ogni ospedale, ente territoriale, scuola, comando dei carabinieri, procura della Repubblica, ufficio del catasto, ha un applicativo diverso, un sistema informatico chiuso, che non è connesso con gli altri interlocutori. Da qui l’incomunicabilità tra i vari pezzi dello Stato e la conseguente corsa affannosa ai certificati di carta, tra file, attese e i mille paletti della burocrazia.
Come detto, ad oggi soltanto una sessantina di Comuni, spesso piccoli o piccolissimi, sono al passo con l’anagrafe digitale (per un totale di circa un milioni e 240 mila abitanti), con appena 4 capoluoghi di provincia sul web (Modena, Cesena, Ravenna e Lucca). A questi vanno aggiunti circa altri mille Comuni che stanno scaldando i muscoli (Torino, Milano, Bologna, Firenze e Cagliari per un totale di altri 7,13 milioni di abitanti».
Secondo l’ultimo crono programma entro l’anno tutti gli 8 mila Comuni italiani dovrebbero essere in rete. «Un visione un po’ ottimistica – sottolinea Gastaldi – perchè credo che entro fine anno avremo in rete al massimo 2000 comuni». Roma e Milano, tanto per fare due esempi, sono ancora indietro. Del resto nella Capitale per scegliere il medico di famiglia o cambiare il pediatra bisogna munirsi di carta e penna e mettersi in attesa in circoscrizione. Mentre sarebbe facilissimo pubblicare le liste on line e consentire iscrizioni e cambiamenti con un semplice tocco di mouse.
SPID INUTILIZZATA
Non va meglio per la Spid. Il pin unico per accedere ai vari servizi pubblici si ottiene in brevissimo tempo, purtroppo però la gran parte della Pa non consente di usarla perché non ha nessun servizio digitale da offrire. «Questo situazione – aggiunge Gastaldi – riguarda 3 Comuni su 4. Ma anche gli ospedali non consentono di ritirare i referti on line, o gli uffici di collocamento di iscriversi e controllare le liste, per non parlare delle Camere di commercio». Si va avanti insomma con carta e penna. Tolto qualche servizio erogato dall’Inps, lo Spid al momento è praticamente inutile. Così un passepartout dalle enormi potenzialità ha perso progressivamente appeal, passando da un picco di 190.861 attivazioni del novembre 2016 ad una media di 19-20 mila nelle prime settimane di quest’anno. In base agli ultimi dati disponibili a fine gennaio erano 2.127.142 le identità digitali rilasciate, richieste per il 61,1% da donne e per il 38,9% da uomini.
RISPARMI
Chi va a gonfie vele invece è il PagoPa, lo strumento che consente di pagare direttamente i servizi erogati dalle pubbliche amministrazione saltando le banche e risparmiando così sulle commissioni. Dal primo gennaio 2016 il PagoPa ha registrato infatti ben 6.273.107 transazioni con un tasso di crescita annuale del 530%. Lazio, Lombardia e Veneto sono le tre regioni dove si concentra il maggior numero di pagamenti, mentre tra i vari enti a guidare la classifica è l’Inail con 746.225 transazioni.