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 2018  febbraio 18 Domenica calendario

Ecco l’inganno sugli occupati: 600mila lavorano 40 ore al mese

E se l’estenuante lentezza con la quale la disoccupazione scende fosse solo un effetto ottico? Cioè: se l’aumento delle persone che hanno un lavoro fosse solo un cinico giochetto di numeri? Il motivo per il quale il sospetto serpeggia è questo: l’Istat considera una persona «occupata», cioè con un lavoro, quando quella persona ha lavorato, nella settimana precedente, almeno 1 ora in modo regolare, cioè retribuita. In altre parole per la statistica ufficiale una ragazzo che impiega un’ora per consegnare due pizze una sera a settimana conta come un iper-garantito impiegato a tempo pieno in un ufficio statale. Nella realtà la differenza è abissale: il ragazzo non ha un lavoro mentre l’impiegato sì. Ma questo, appunto, alla statistica non interessa. Per la statistica il tasso di disoccupazione a gennaio 2017 era dell’11,9%, stabile rispetto al mese precedente. Punto e basta.
Per capire se dal 2014 l’impercettibile miglioramento del tasso di disoccupazione è dovuto a migliaia di ragazzi che si sono messi a consegnare pizze oppure da migliaia di impiegati che hanno trovato un lavoro a tempo pieno occorre verificare quante persone lavorano poche ore la settimana. L’Istat ogni anno rilascia questi dati indicando quante sono le persone che, in media, lavorano tra 1 e 10 ore la settimana. Questi numeri, elaborati dal sito di data journalism Truenumbers.it sono quelli mostrati dai grafici in queste pagine. Il totale delle persone che mediamente nel 2016 hanno lavorato tra 1 e 10 ore sono 606.764. Un popolo, una moltitudine, molti di più di quelli del 2011 quando erano «solo» 455.861 e un po’ meno rispetto ai 615.148 del 2015. 
Il totale delle persone che hanno lavorato mediamente pochissime ore la settimana sono, quindi, il 2,6% di tutte le persone con un’occupazione a fine 2016. Questo significa che se si tolgono tutti i lavoratori che nel 2016 hanno lavorato per, al massimo, 10 ore, dal computo totale degli occupati (dato che definirli «occupati» è una definizione burocratica che sfiora la beffa, peraltro accettata a livello internazionale) gli italiani con un’occupazione «vera» scenderebbero a 22.287.236 dai 22.894.000 ufficiali. Insomma: bisognerebbe rivedere, e di molto, la percezione sull’andamento dell’occupazione. 
L’Istat fornisce altri dati interessanti. Ad esempio: le donne che lavorano poche ore la settimana sono molte più numerose degli uomini: 406mila rispetto a 157mila. Ma, soprattutto, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, il popolo dei lavoratori «a ore» non è affatto composto da ragazzi che consegnano le pizze a domicilio e questo, come vedremo, è un problema. Nella classe d’età tra i 15 e i 24 anni sono solo 43.798, in maggioranza ancora donne. In realtà la classe d’età più rappresentata è quella più matura, quella che comprende le persone che dovrebbero avere un lavoro «vero» e non a ore, cioè quella tra i 35 e i 44 anni. Sono 153.637 con, ancora, una presenza schiacciante di donne, quasi 116mila. E il fatto che dal 2014 tutti i dati siano in calo non consola perché, in un mondo ideale, dovrebbero essere i ragazzini o gli universitari a lavorare poche ore la settimana mentre invece sono le persone adulte le quali, è evidente, lavorando così poco, non riescono ad ottenere un reddito sufficiente per vivere. Sarà anche per questo che l’Italia è il Paese che, rispetto a tutti i Paesi europei ha aumentato di più il numero assoluto di persone a rischio di esclusione sociale. Tra il 2008 e il 2016 in Italia le persone «quasi povere» sono aumentate di 3,1 milioni di unità. Sempre secondo l’Istat le persone in questa condizione sono il 30% dei residenti: 18.136.663 persone mentre il 12,8% degli italiani vive in famiglie «a bassa intensità di lavoro».
La Spagna, seconda il classifica, ha visto aumentare i propri cittadini a rischio di esclusione sociale di «soli» 2 milioni di unità e la Grecia di 700mila. Se ci si vuole consolare si possono prendere i dati in percentuale: la Grecia ha aumentato le persone a rischio di esclusione sociale del 7,5% e l’Italia, seconda in Europa, del 4,4%. Attenzione: le persone a rischio di esclusione sociale sono quelle che sono ad un passo dalla povertà esattamente come le persone che lavorano al massimo 10 ore la settimana sono a un passo dalla disoccupazione.