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 2018  febbraio 19 Lunedì calendario

«Il mio ultimo Socrates, il calcio in tv senz’audio ascoltando i Beatles». Il campione brasiliano oggi avrebbe compiuto 64 anni. Sua moglie, Katia Bagnarelli, racconta i giorni trascorsi insieme e presenta il libro di memorie da lui dettato prima di morire

Non è detto che possa esistere una vita migliore di quella che Socrates ha trascorso su questa Terra. Avrebbe compiuto oggi 64 anni, il 4 dicembre 2011 s’è invece arreso alla sua malattia.
Giocatore fenomenale, capitano del Brasile al Mondiale ’82 e, prima di arrivare alla Fiorentina, principale ispiratore della “Democrazia corinthiana”, un sistema autogestito con cui il Corinthians vinse due campionati paulisti e si oppose alla dittatura che governò il Pais do Carnaval fino a metà anni Ottanta. La ricca bibliografia che lo riguarda si arricchisce con Socrates Eterno, un volume presentato proprio nel giorno del suo compleanno a San Paolo e che porta la firma della giornalista Katia Bagnarelli, l’ultima moglie del “Doutor”. Si tratta di un racconto autobiografico, scritto e pubblicato per volere dello stesso Socrates, che prima di morire ha raccontato le sue memorie alla compagna.
Signora Bagnarelli, chi era Socrates?
«Socrates era soprattutto una persona che si impegnava per il benessere dell’umanità, sentiva la responsabilità di essere un intermediario tra il suo popolo e le situazioni più difficili che questo popolo viveva nella ricerca di un cambiamento. Un uomo appassionato, creativo, idealista, costruttivo, provocatorio, dotato di una saggezza e una semplicità che incantavano; medico, atleta, cantante, compositore, artista, produttore, scrittore, giornalista, padre e marito fantastico. Più che un semplice calciatore, era un genio, visionario, applicato ed estremamente affettuoso e attento a tutte le persone che lo circondavano».
Che tipo di calciatore è stato?
«Socrates è stato senza dubbio il calciatore più rivoluzionario di tutti i tempi. Il più intelligente, con l’audacia di mettere quotidianamente in pratica sul campo ciò che pensava, vedeva e sentiva».
Pelé l’ha definito il giocatore più intelligente nella storia del calcio brasiliano…
«Un altro genio come Johan Cruyff, prima di morire, mi ha parlato così di mio marito: “È stato grazie a lui che ho seguito la nazione brasiliana con un interesse speciale. C’erano altri centrocampisti in quella squadra, ma io mi resi chiaramente conto che, senza ombra di dubbio, era lui a dare forma al Brasile del 1982. È buffo che mi abbia dato il soprannome di direttore d’orchestra, perché anche io lo vedevo in questo modo”».
Dopo la sua carriera da calciatore, si è cimentato anche nel giornalismo. Come lavorava il Socrates giornalista?«Aveva uno sguardo differente legato al suo passato da calciatore.
Non scriveva solo di calcio, ma sempre del calcio unito al contesto umano che circonda l’atleta e le sue strutture: qualcosa che, anche oggi, si trova raramente. Ricordo i pomeriggi a guardare partite europee accanto a lui, qui a casa.
Era un rituale: abbassava completamente il volume del televisore, metteva un disco dei Beatles e guardava la partita dicendomi cosa sarebbe successo in ogni azione. Era fantastico: coglieva la visione di gioco dell’allenatore e i comportamenti dei giocatori di entrambe le squadre e ancora cercava di indovinare il risultato finale. Quasi sempre azzeccando.
Che ricordo conservava dell’esperienza della “Democrazia corinthiana”?
«Lascio che sia Socrates stesso a rispondere a questa domanda.
Questo è, in anteprima, un estratto del libro: “È stata una delle maggiori sfide che ho potuto affrontare nella mia vita professionale. Questo movimento è nato da un’osservazione poco interessante, almeno per le mie convinzioni: i calciatori in Brasile non hanno la minima consapevolezza della loro importanza sociale”».
Un processo mentale prima che politico.
«Sì, infatti proseguiva così: “Il primo passo è stato quello di provocare una discussione su cosa e come si sarebbe potuto fare. Che tipo di cambiamento vorremmo per migliorare i nostri rapporti di lavoro e come potremmo incoraggiare la partecipazione di tutti alle decisioni collettive? Era necessario che la maggior parte riconoscesse che nel calcio il potere risiede nei calciatori: questo potere era nostro e solo noi avremmo potuto esercitarlo, se ne fossimo stati consapevoli. Questo potere, nella maggior parte dei casi, all’interno delle strutture calcistiche è soggetto a interferenze, limitazioni o persino “castrazione”, ma non cessa di esistere. Anche se questo non viene esercitato.
Rendendolo palpabile al nostro gruppo, abbiamo avuto la possibilità di prenderlo nelle nostre mani”».