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 2018  febbraio 19 Lunedì calendario

Benvenuto sulla Luna monsieur Verne

Tra il 1863 e il 1905 Jules Verne pubblicò per l’editore Hetzel una collana di 54 romanzi, ai quali si aggiunsero tra il 1905 e il 1919 altri otto titoli postumi, curati e completati dal figlio Michel. Questi 62 Viaggi straordinari costituiscono un genere d’avventura unico, più affine alla divulgazione scientifica che alla fantascienza letteraria, perché sempre saldamente ancorato alla realtà e alla ragione.
Verne infatti non inventava, ma ricamava accuratamente su ciò che leggeva, ed estrapolava coscienziosamente da ciò che esisteva, richiedendo spesso la consulenza degli esperti.
Benché sia stato considerato uno scrittore per ragazzi, i suoi lettori erano piuttosto gli adulti affascinati dalla geografia, dall’astronomia e dalla tecnologia. Anche le avventure non erano fini a sé stesse, e miravano a far conoscere ambienti estremi (circoli polari, oceani, isole sperdute, grandi fiumi, deserti, giungle), luoghi esotici (Transilvania, Africa Nera, Amazzonia, Patagonia, Polinesia, Australia), paesi allora misteriosi (Stati Uniti, Russia, India, Cina), mezzi di trasporto avveniristici (palloni aerostatici, chiatte fluviali, transatlantici, sottomarini, locomotive, elicotteri, cannoni) e fenomeni spettacolari (raggi verdi, aurore boreali, notti polari, eclissi, eruzioni, terremoti e impatti cosmici).
Alcuni dei viaggi sono dei veri e propri peripli: dalle Cinque settimane in pallone (1863) che inaugurarono la serie, al Giro del mondo in 80 giorni (1873) che ne costituì il maggior successo. Ma i più straordinari sono quelli che abbandonano la superficie del globo per immergersi nelle profondità terrestri o oceaniche, dal Viaggio al centro della Terra (1864) a Ventimila leghe sotto i mari (1869), o per alzarsi in volo nei cieli e andare non solo Dalla Terra alla Luna (1865) e Intorno alla Luna (1870), ma addirittura oltre Giove nelle Avventure di Ettore Servadac (1877).
I due notissimi romanzi sulla Luna sono tra i più avveniristici di Verne, e prefigurano i voli di due missioni della NASA: l’Apollo 8 (1968), che portò per la prima volta tre uomini attorno alla Luna, e l’Apollo 13 (1970), in cui molte cose andarono storte e l’equipaggio rischiò di non tornare. Le coincidenze tra i romanzi e le missioni sono molte e sorprendenti: la scelta del luogo di lancio in Florida, a sole 100 miglia dall’attuale Cape Canaveral; la rivalità con il Texas, che è il motivo della scelta di Houston per il centro di controllo della NASA; la durata di una settimana della missione; l’ammaraggio nell’Oceano Pacifico… Sono però molte anche le divergenze. Verne pensava di mandare gli astronauti in orbita con un unico colpo di cannone, invece che con un razzo a più stadi. I suoi astronauti sentono la mancanza di peso solo nel punto gravitazionalmente neutro tra la Terra e la Luna, invece che durante tutto il viaggio, in cui sono in perenne caduta libera insieme alla navicella. La temperatura del vuoto esterno, assurdamente misurata sporgendo un termometro fuori dal finestrino, scende solo a -140 gradi, invece che a -270. E l’ammaraggio al ritorno avviene senza paracaduti che impediscano alla navicella di superare accelerazioni insostenibili, prima, e di sfracellarsi nell’impatto, poi.
Alcune delle disavventure degli astronauti di Verne derivano da una perturbazione dell’orbita programmata, provocata dal passaggio ravvicinato di un grosso bolide orbitante in 3 ore e 20 minuti a 8.140 chilometri dalla superficie della Terra. Il che è semplicemente impossibile, a causa della terza legge di Keplero: il rapporto fra il quadrato del tempo e il cubo della distanza deve infatti essere costante per tutti i satelliti della Terra, ma il rapporto per la Luna è circa due volte e mezza quello del supposto bolide. Detto altrimenti, a quella distanza il bolide dovrebbe essere molto più lento, o a quella velocità dovrebbe essere molto più vicino.
In ogni caso, non esistono bolidi in orbita attorno alla Terra, nonostante ciò che sosteneva a metà dell’Ottocento l’astronomo Frédéric Petit, a cui Verne si ispirò sia per l’episodio precedente, sia per la Caccia alla meteora (1908).
Anche in questo libro la terza legge di Keplero non è rispettata, ma in compenso viene citata “l’enorme quantità di energia racchiusa in un’imponderabile particella di materia”.
Sembrerebbe un riferimento alla famosa formula E=mc2 dimostrata da Einstein nel 1905, ma in realtà l’ispirazione di Verne erano le teorie di Gustave Le Bon, un antropologo professionista ma un fisico dilettante, che mediante considerazioni intuitive sulla radioattività era arrivato indipendentemente a una formula equivalente a E=mc2/18.
Anche le meno note Avventure di Ettore Servadac prefigurano varie missioni spaziali. Da un lato, quella della sonda Rosetta dell’Esa, iniziata nel 2004 e terminata nel 2016, che ha osservato da vicino una cometa e si è posata sul suo nucleo.
Dall’altro lato, quelle delle due sonde Voyager 1 e 2, lanciate nel 1977 con l’obiettivo di osservare da vicino Giove e Saturno, e tuttora in attività. Verne immagina che una cometa passi talmente vicina alla Terra da strappare un pezzo di costa e una parte del Mediterraneo, e portare con sé a spasso per il Sistema solare, fino oltre a Giove, un equipaggio internazionale di 37 uomini: francesi, inglesi, russi, spagnoli ed ebrei. L’ispirazione di Verne risale alla Grande Cometa del 1861, che si avvicinò a 20 milioni di chilometri dalla Terra: gli eccitati media dell’epoca riferirono che il pianeta era addirittura passato nella sua coda. La cometa delle Avventure di Ettore Servadac è però parecchio irrealistica. Anzitutto, come al solito, la terza legge di Keplero non è rispettata: tutte le comete che si spingono oltre l’orbita di Giove devono avere, e hanno, un periodo di almeno 6 o 7 anni, mentre Verne ne assegna solo 2 alla sua. La posizione dei pianeti nel periodo descritto dal romanzo non concorda con il percorso della cometa. Un diametro di 740 chilometri lo raggiungono soltanto i grandi asteroidi, mentre il nucleo delle comete è limitato a pochi chilometri. E una densità di 10 grammi al centimetro cubo, maggiore di quella del ferro, non la raggiunge nessun corpo del Sistema Solare. Ancor meno realistico è il lieto fine, imposto dall’editore a beneficio degli adolescenti ai quali il romanzo era destinato: in origine Verne aveva invece pensato a una conclusione tragica, anticipata fin dal titolo nella scelta del nome Servadac, che al contrario si legge cadavers.