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 2018  febbraio 19 Lunedì calendario

Potere alla Curia e via gli americani. Il ribaltone del Papa allo Ior

CITTÀ DEL VATICANO Accorciare la catena di comando allo Ior, proseguire in questo modo l’opera di semplificazione all’interno del Torrione Niccolò V, e mettere da parte chi rema contro. Questa la linea messa in campo, col placet di papa Francesco, dai vertici dell’Istituto per le Opere di Religione i quali, tre giorni fa, hanno accolto non senza un certo sollievo le dimissioni di un alto dirigente laico. Questa volta è toccato a Mary Ann Glendon, bostoniana, diplomatica da anni legata alla Santa Sede, membro del Consiglio di sovrintendenza della “banca vaticana”, chiamarsi fuori ufficialmente – così una nota dell’Istituto – per «dedicare più tempo ad altre cause cattoliche». Secondo quanto apprende Repubblica, tuttavia, la fuoriuscita è figlia anche di una resa dei conti interna.
Dopo il licenziamento avvenuto lo scorso 27 novembre del direttore aggiunto Giulio Mattietti, che per le gerarchie era in grado di disporre e quindi potenzialmente di offrire internamente a monsignori e prelati informazioni altamente sensibili circa il lavoro dell’Istituto stesso, sono arrivate le dimissioni della Glendon, manager vicina a Mattietti, e particolarmente attiva nel fare asse dentro la Santa Sede oltre i vertici dello Ior. Un attivismo da tempo poco tollerato nel Torrione sede della banca e sfociato in dimissioni divenute obbligate.
Glendon è legata alla vecchia governance della Santa Sede, e in particolare agli ambienti statunitensi vicini all’ex segretario di Stato Tarcisio Bertone e in generale alla dirigenza attiva al tempo di Ratzinger: l’avvocato californiano Jeffrey Lena e l’ex assessore della Segreteria di Stato Peter Brian Wells che nel 2016 ha lasciato la curia romana per divenire nunzio apostolico in Sud Africa e in Botswana. Il presidente dello Ior Jean-Baptiste de Franssu e il direttore Gian Franco Mammì non da oggi hanno preso le distanze dalla Glendon e dai suoi contatti, un tempo influenti, oggi tuttavia relegati sempre più ai margini.
Diverse personalità hanno provato a difendere prima Mattietti, poi Glendon, in particolare il lavoro di lobbying interna di quest’ultima, ma complice anche la volontà di sfoltire uffici nei quali nel corso dei pontificati si sono sovrapposti livelli gerarchici diversi, ha avuto la meglio la linea De Franssu- Mammì. «Del resto anche il Papa – dicono Oltretevere – lavora per sottrazione, non per aggiunta. Dove è possibile, quindi, cerca di ottimizzare ruoli e incarichi ascoltando più personalità ma alla fine decidendo in totale autonomia».
Da tempo la convinzione interna, dal Papa fino al coordinatore del Consiglio per l’Economia, il cardinale tedesco Reinhard Marx, è che la Santa Sede sulle finanze debba definitivamente abbandonare la strada dei banchieri esterni chiamati ad aiutare, eminenze laiche che si sono rivelate clamorosi boomerang per l’immagine della stessa Chiesa: da Michele Sindona a Roberto Calvi, fino alla “cricca degli appalti” e oltre, è lungo l’elenco degli esterni il cui apporto è stato giudicato controproducente, per non dire disastroso.
Così le figure chiave sono oggi divenute altre, prelati e monsignori capaci di tessere la propria tela nell’ombra, con discrezione tutta curiale. Dopo la partenza per le accuse di pedofilia del cardinale George Pell per l’Australia, il cui attivismo era giudicato più vicino alle “eminenze laiche” che ai curiali, hanno preso sempre più spazio sia il cardinale spagnolo Santos Abril y Castello, capo della Commissione cardinalizia di vigilanza e uomo di fiducia del Papa fin dall’inizio del pontificato, sia monsignor Luigi Mistò, classe 1952, sacerdote ambrosiano cresciuto alla scuola del cardinale Carlo Maria Martini, ex plenipotenziario delle finanze milanesi nell’èra Tettamanzi, nominato “coordinatore ad interim” della Segreteria per l’economia oggi soltanto pro forma ancora in mano a Pell.
Dentro l’Apsa, invece, il dicastero che ha in mano tutti gli immobili vaticani, Francesco ha portato un vescovo argentino battagliero e intraprendente con l’incarico di supervisionare l’attività dello stesso “ministero”. Si tratta di monsignor Gustavo Óscar Zanchetta, fino a luglio vescovo di Orán, una città del Nord dell’Argentina, quasi ai confini con la Bolivia, zona considerata pericolosa per la presenza di narcotrafficanti. Ordinato prete nel ’ 91, Zanchetta ha fatto una carriera brillante fino a diventare prima segretario della Commissione episcopale per l’Università cattolica argentina, e poi incaricato delle questioni economiche della diocesi di Quilmes e vescovo nel 2013. Anch’egli uomo di fiducia del Papa, potenzia la presenza clericale nelle finanze vaticane, confermando de facto l’epurazione laica.