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 2018  febbraio 19 Lunedì calendario

Quei sei giornalisti condannati a vita. Il pugno di Erdogan sulla stampa

ISTANBUL La Turchia del Sultano e la libera stampa. Un rapporto complesso, giudicato severamente a livello internazionale dopo l’ergastolo comminato a sei giornalisti turchi, fra cui tre autori molto celebri, accusati di legami con i golpisti e di tentata sovversione. La sentenza ha colpito l’opinione pubblica a Istanbul e nel mondo, nonostante il contemporaneo rilascio su cauzione del corrispondente in Turchia del quotidiano tedesco Die Welt, Deniz Yucel. Il premier Binali Yildirim, fedelissimo del presidente Recep Tayyip Erdogan, ha reagito alle critiche: «La Turchia è uno stato di diritto come la Germania e gli Usa.
Nessun Paese ha il diritto di giudicare lo stato di diritto degli altri Paesi». E a proposito dei giornalisti in carcere ha aggiunto: «Lasciamo lavorare la giustizia», ammettendo la lentezza dei processi. Intanto il cronista del quotidiano di Berlino, rientrato in Germania, ha commentato i suoi 368 giorni nel carcere di Silivri, a Istanbul, con un video: «Ancora non so perché un anno fa sono stato arrestato o, per essere più preciso, sono stato preso in ostaggio. E ancora non so perché sono stato rilasciato». Il reporter era stato accusato di “propaganda a favore di un’organizzazione terroristica” e di “incitamento all’odio e all’ostilità”. Rischia, al processo, una condanna dai 4 ai 18 anni di carcere. «Il mio arresto non ha nulla a che vedere con la giustizia e lo stato di diritto, e lo stesso vale per il mio rilascio.Certo sono contento, ma resta un certo retrogusto amaro».

Ahmet Altan, l’autore di “Scrittore e assassino” che avrebbe inviato “messaggi subliminali”
Ahmet Altan, 67 anni, giornalista, scrittore (il suo romanzo “Scrittore e assassino” è stato pubblicato in Italia dalla casa editrice e/o). Ha lavorato per i quotidiani Hurriyet e Milliyet prima di fondare e dirigere Taraf, il giornale che per le autorità turche è diventato portavoce dell’imam accusato di essere l’ispiratore del fallito golpe del 2016, Fethullah Gulen.
È accusato di avere inviato quelli che sono stati definiti “messaggi subliminali” durante un programma tv andato in onda poco prima del putsch. Si è difeso negando l’imputazione e chiedendo ai giudici di «abbandonare pratiche che non hanno nulla a che fare con il diritto». È stato condannato all’ergastolo.


Nazli Ilicak, l’opinionista figlia di un ex ministro e quelle parole pericolose su Gulen
Nazli Ilicak, 73 anni, è la figlia di un ministro nella Turchia del dopoguerra, è una delle opinioniste di maggiore spicco del Paese, volto notissimo della televisione, editorialista nei quotidiani, ed ex parlamentare eletta nelle fila del Fazilet Partisi, il “partito della virtù”.
È accusata di aver avuto legami con esponenti della rete di Gulen. Ilicak aveva difeso il network di Fethullah, dichiarando che non si trattava di una organizzazione terroristica. Nella sua prima testimonianza dopo essere stata arrestata ha poi ammesso di aver compreso che la rete di Gulen era realmente un gruppo sovversivo. Ha però negato ogni accusa. È stata condannata all’ergastolo.


Fevzi Yazici, l’art director premiato cento volte che si è sempre proclamato innocente
Fevzi Yazici, 45 anni, era l’art director del quotidianoZaman, considerato uno dei grafici più accreditati nel mondo dei media in Turchia. Il giornale da lui disegnato era in effetti molto riconoscibile dagli addetti ai lavori non solo per i contenuti (un foglio distintosi per aver criticato fortemente l’azione politica di Erdogan, pur gravitando sempre nell’orbita degli islamici conservatori), ma anche per la sua grafica colorata e insieme essenziale. Ha ricevuto centodiciannove premi di eccellenza e tre medaglie d’argento in competizioni internazionali fra i giornali.
Accusato di gulenismo, si è proclamato innocente. È stato condannato all’ergastolo.


Mehmet Altan, l’economista della Sorbona che tifa Ue finito in cella come il fratello romanziere
Mehmet Altan ha 65 anni, è un economista ed editorialista, ed è anche il fratello di Ahmet e figlio dello scrittore e giornalista Cetin Altan. Ha studiato alla Sorbona ed è autore di più di venticinque libri. Si definisce un “marxista liberale”, sostiene che la Turchia ha bisogno di ricostituire la sua Repubblica come una vera democrazia, ed è un convinto assertore dell’ingresso di Ankara nell’Unione Europea. È stato direttore del quotidiano Star, dal quale si è dimesso nel 2012 per le pressioni del governo sui media. È stato condannato all’ergastolo con l’accusa di avere incitato al golpe. Accusa da lui sempre negata. Come il fratello Ahmet, romanziere, è in carcere dal settembre 2016.


Yakup Simsek, manager di un giornale finanziato dal predicatore nemico del “Sultano”
Yakup Simsek è un ex dipendente del quotidianoZaman, dove era impiegato come manager nel settore del marketing. È stato accusato anche lui di avere legami con il gruppo di Fethullah Gulen.
Il giornale con cui lavorava era strettamente legato al movimento chiamato Hizmet (il servizio) finanziato dal predicatore turco poi riparato in Pennsylvania dove vive in autoesilio fin dal 1999. È stato prima messo sotto controllo dallo Stato nel marzo 2016 e quindi definitivamente chiuso. Il dirigente amministrativo del quotidiano si è difeso proclamandosi innocente. È stato condannato anche lui con una sentenza di carcere a vita.


Sukru Tugrul Ozsengul, lettore all’accademia di polizia sotto accusa per “l’uso della forza”
Sukru Tugrul Ozsengul è un ex lettore all’accademia di polizia.
L’accusa contro di lui è quella di avere cercato di sovvertire l’ordine costituzionale attraverso l’uso della forza e di avere stretti legami con l’organizzazione di Gulen.Accuse verso le quali si è sempre proclamato innocente. Anche lui è stato condannato con la sentenza di carcere a vita.
Secondo il Committee to Protect Journalists (Cpj) basato a New York sarebbero 73 i reporter arrestati in Turchia nel 2017, dato che ha fatto guadagnare ad Ankara la maglia nera a livello mondiale per i cronisti finiti in cella. Le autorità turche negano che molti di loro siano “veri” giornalisti.