Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  febbraio 19 Lunedì calendario

Salerno e Regione, 25 anni di potere nel nome del padre

Salerno è lui. Anzi, sono loro. Il sistema De Luca, uno e trino. Il padre governatore, il primogenito Piero che sarà parlamentare, il secondogenito Roberto che voleva essere sindaco della “loro” città e ora deve lasciare anche il posto di assessore.
Glorie elettorali e inciampi, ascese e cadute. L’en plein del bottino elettorale (il 90 per cento ai congressi Pd: sia per Bersani, sia per Renzi) e le monetine delle primarie sospette. Lo sfolgorìo delle luci d’Artista natalizie, l’evento milionario che attira turisti da tutta Italia voluto dall’allora sindaco sceriffo Vincenzo, e le ombre dell’intreccio di relazioni. Il comitato che manovra affari e il “cerchio magico” che accredita fedelissimi e condanna gli avversari. Il mondo diviso in alleati di corte o nemici.
Ora che Vincenzo ha conquistato la Regione nel 2015, e al secondo tentativo contro la destra di Stefano Caldoro, solo adesso che sono all’apice tutti e tre contemporaenamente, dopo un quarto di secolo, l’impero (non più di provincia) comincia a cigolare. Sono primi scricchiolii di un’architettura di potere basata sull’intramontabile pilastro della devozione assoluta al grande Capo. L’altro architrave è la riservatezza.
Vincenzo De Luca è allergico al cellulare. Tranne che in quella vigilia delle primarie per il Parlamento del 2012, quando irritato col Pd disse al figlio Piero al telefono: «Ma che partito di m...». Appena insediato sulla poltrona di governatore, il grande Capo ha fatto bonificare la sua stanza: e ha trovato una microspia. Stessa “precauzione” suggerita al proprio successore, il sindaco di Salerno, Enzo Napoli. Per conto del governatore, parlano – o tacciono – i pretoriani. L’ultimo, in ordine di apparizione, sembra essere Francesco Igor Colletta: l’uomo che compare nei video di Fanpage accanto a De Luca jr, vicino a Roberto, l’ex carabiniere che addirittura avrebbe concordato una presunta «tangente del 15 per cento».
I fedelissimi storici sono divisi in tre categorie. Blindati, promossi, congelati.
Blindato come l’influente Fulvio Bonavitacola, vice presidente della Regione, l’uomo che regge le fila del nevralgico settore ambientale e dei rifiuti, in cui oggi cade Roberto. Promossi: come il cardiochirurgo Enrico Coscioni. Che, diventato consulente di De Luca per la Sanità, provò subito a mettere alla porta con modi spicci i manager di tre aziende ospedaliere: «L’onda era partita: sarete sostituiti tutti». Una frase che gli è costata: è sotto processo per tentata concussione. Eppure fa carriera: diventa direttore della Cardiochirurgia dell’ospedale Ruggi d’Aragona, a Salerno, solo dopo abile letterina lasciata agli atti in cui assicura che, nonostante i due giorni a settimana a Napoli, non sarà distolto dall’attività ospedaliera. Poi ci sono i “congelati” a vita. È durato poco in Regione Nello Mastursi, primo capo della segreteria. Fu costretto a dimettersi dopo una perquisizione: era al centro dell’indagine sulle presunte pressioni che avrebbero dovuto favorire De Luca, alla vigilia della sua temuta sospensione, in applicazione della Severino.
Accusato di induzione indebita, Mastursi è stato condannato in primo grado a un anno e mezzo: ha smesso di essere personaggio politico, mai più Pd, mai più una dichiarazione.
Altro blindato e promosso è l’ex sindaco di Agropoli Franco Alfieri. A lui, De Luca si riferiva nell’ormai proverbiale discorso sull’uso delle clientele, alla vigilia del referendum costituzionale. «Una clientela come Cristo comanda – disse De Luca, il pubblico rideva – Franco, l’impegno tuo è di portare a votare 4mila persone su 8mila.
Li voglio vedere in blocco, vedi tu come devi fare, offri una frittura di pesce, portali sulle barche, sugli yacht, fai come cazzo vuoti tu ma non venire qui con un voto di meno». Il Paese invece scelse il no, per quelle parole la Procura aprì un’indagine per istigazione al voto di scambio rapidamente archiviata.
Nel frattempo Alfieri ha guadagnato prima la nomina come capo dello staff in Regione, poi il seggio sicuro alla Camera. Una scelta che ha fatto indignare i familiari di un altro ex sindaco, Angelo Vassallo. È il primo cittadino di Pollica assassinato in un agguato, un delitto ancora senza colpevoli, in pieno Cilento. Provincia di Salerno, sì. Ma lontano dal feudo del Capo.