la Repubblica, 18 febbraio 2018
Ma c’é qualcosa che non scordo
L’idea alla base di Encyclomedia – una panoramica cartacea e online della Storia del Mondo Occidentale dal Big Bang ai giorni nostri – si ispira a una concezione della nostra memoria storica, ed è proprio sul concetto di memoria che elaborerò alcune riflessioni che oggi rivestono un interesse primario, anche se Encyclomedia non fosse mai esistita.
Posso soltanto dire che l’idea originaria che ha spinto me e altre persone a imbarcarsi in un’impresa editoriale di questo tipo è stata la considerazione che pochi sanno quanto tempo è trascorso tra Sant’Agostino e San Tommaso, anche se hanno studiato al liceo o all’università che sono entrambi protagonisti della filosofia medievale.
Bene, tra Agostino e Tommaso d’Aquino ci sono otto secoli, che è la stessa distanza temporale che separa Tommaso d’Aquino da noi. Per rendere il concetto del tempo evidente attraverso una rappresentazione spaziale, all’inizio del nostro lavoro abbiamo concepito una sorta di linea continua che mostra il periodo di tempo presumibile, se non proprio dal Big Bang a noi, almeno dall’estinzione dei dinosauri alla nascita di Gesù Cristo. Questa linea percorre una lunga porzione di spazio (e tempo), mentre, una volta arrivata all’inizio del primo millennio, il tempo tra Cristo e noi occupa solo una lunghezza microscopica della nostra linea, tanto che si è costretti a zoomarla per avere una rappresentazione visiva di quanto accadde negli ultimi duemila anni.
A questo punto ci si può girare verso una data porzione di storia e scoprire, per esempio, che alcuni artisti, pensatori o scienziati sono vissuti nello stesso momento storico, o persino domandare al programma se – per caso – Goethe avrebbe potuto incontrare Napoleone. Il programma può dirci se un evento simile avrebbe potuto essere cronologicamente plausibile e cliccando sui link ipertestuali si può scoprire che quell’incontro accadde realmente.
L’intera operazione è stata ispirata dalla convinzione che, specialmente tra le nuove generazioni, da entrambi i lati dell’oceano Atlantico, stiamo assistendo a una perdita della memoria storica.
LA NECESSITA’ DELLA MEMORIA
I mass media sono principalmente interessati al presente. Accade sempre più spesso che in Italia i giovani (inclusi molti studenti universitari), quando interrogati su fatti che riguardano, diciamo, la Seconda guerra mondiale, non sanno come definire personaggi storici come Badoglio, Churchill o Roosevelt – o che pensino (come è realmente accaduto) che Aldo Moro fosse il leader delle Brigate Rosse. Peggio ancora, non sono in grado di raccontare qualcosa di preciso su eventi avvenuti dieci anni prima della loro nascita. Purtroppo, una tale perdita di memoria si sta verificando anche nel mondo degli eruditi.
Se consulto un testo americano pubblicato oggi su un tema specialistico, posso rilevare che la bibliografia non va oltre gli anni Ottanta, cosa che può essere comprensibile per determinate scienze in corso di sviluppo, per esempio quelle che si occupano del bosone di Higgs, ma che è bizzarra se riguarda le scienze umanistiche. Ricordo di aver visto un libro di filosofia che a un certo punto menzionava una determinata idea di Kant e una nota a piè di pagina riportava “Vedere Brown 1982”: i testi di Kant erano considerati troppo vecchi persino per essere inseriti in nota.
In molti documenti fruibili online manca una data di riferimento, mentre sarebbe importante sapere se sono stati elaborati nel 2009, 2010 o 2012: si è persa qualunque profondità temporale.
Una leggenda dice che alla porta d’ingresso di un celebre dipartimento americano di filosofia era appeso un cartello con scritto “Ingresso vietato agli storici di filosofia”. E ricordo una mia conversazione con un amico filosofo il quale mi aveva domandato: “Perché dovremmo conoscere la logica degli Stoici, se la logica formale ha fatto enormi progressi dai loro tempi ai giorni nostri ed è più efficace studiare un manuale contemporaneo piuttosto che una ricostruzione storica?”. Gli risposi che: 1) se per caso gli Stoici si fossero sbagliati è importante conoscere anche la storia degli errori passati per evitarli e che per comprendere Copernico è fondamentale sapere perché Tolomeo avesse torto, dal momento che Copernico non iniziò da zero, ma iniziò criticando le idee di Tolomeo; 2) Non ignorare la storia della filosofia antica, o di qualunque altra disciplina, può aiutarci a non inventare l’acqua calda (come diciamo in Italia), e ci sono molti studiosi contemporanei che sprecano la propria intelligenza a riscoprire con sforzi vani idee che erano già state espresse in modo molto chiaro da pensatori antichi; 3) il vecchio detto historia magistra vitae (la storia è maestra di vita) è più serio di quanto comunemente si pensi, perché, se Hitler avesse letto qualcosa su Napoleone (o almeno Guerra e Pace di Tolstoj), avrebbe compreso che è piuttosto difficile per un esercito raggiungere Mosca prima dell’arrivo dell’inverno – e se Bush avesse letto racconti storici documentati sui tentativi inglesi e russi di vincere una guerra in Afghanistan nel Diciannovesimo secolo, avrebbe sospettato che quel Paese presenta molte caratteristiche orografiche e sociali che rendono molto difficile sottometterne il territorio.
Questa diffidenza nei confronti della storia era ed è ancora una caratteristica tipica di molti filosofi analitici – e permettetemi di citare una sintesi efficace del problema che ho trovato nel volume Continental Philosophy: A Very Short Introduction (Oxford; New York: Oxford University Press, 2001) di Simon Critchley: “La filosofia continentale solitamente considera queste condizioni di esperienza possibile come variabili: determinate almeno in parte da fattori come il contesto, lo spazio e il tempo, il linguaggio, la cultura o la storia. La filosofia continentale, quindi, tende verso lo storicismo. Laddove la filosofia analitica tende a trattare la filosofia in termini di problemi separati, che possono essere analizzati separatamente dalle loro origini storiche ( come gli scienziati considerano la storia della scienza non necessaria all’indagine scientifica), la filosofia continentale suggerisce tipicamente che un argomento filosofico non può essere separato dalle condizioni testuali e contestuali della sua nascita storica”.
Il problema che entra in gioco è che nessuna civiltà (nel senso antropologico della parola, intesa come sistema di idee scientifiche e artistiche, miti, religioni, valori e abitudini quotidiane) può sussistere e sopravvivere senza una memoria collettiva. Le società hanno sempre fatto affidamento sulla memoria per preservare la loro identità, a partire dal vecchio che, seduto sotto un albero, raccontava storie sullo sfruttamento dei suoi antenati e sul mito fondatore della tribù. E quando un qualche atto di censura spazza via una parte della memoria di una società, questa società attraversa una crisi di identità.
ECCESSO DI MEMORIA
Permettetemi ora di considerare il lato opposto del nostro tema: ovvero i danni di un eccesso di memoria.
Ricordare troppo può finire in tragedia. Jorge Luis Borges ci ha raccontato la storia di Funes el Memorioso, e lasciate che io legga alcuni passaggi dal breve racconto di Borges: “Arrivo, ora, al punto più difficile del mio racconto; il quale ( è bene che il lettore lo sappia fin d’ora) non ha altro tema che questo dialogo di mezzo secolo fa. Non tenterò di riprodurre le sue parole, ormai irrecuperabili. Preferisco riassumere con veracità le molte cose che Ireneo mi disse. (…) Ireneo cominciò con l’enumerare, in latino e in spagnolo, i casi di memoria prodigiosa registrati dalla Naturalis Historia: Ciro, re dei persiani, che sapeva chiamare per nome tutti i soldati del suo esercito; Mitridate Eupatore, che amministrava la giustizia nelle ventidue lingue del suo impero; Simonide, inventore della mnemotecnica; Metrodoro, che professava l’arte di ripetere con fedeltà ciò che aveva ascoltato una sola volta. Con evidente buona fede si meravigliò che simili casi potessero meravigliare. Mi disse che prima di quella sera piovosa in cui il cavallo lo travolse, era stato ciò che sono tutti i cristiani: un cieco, un sordo, uno stordito, uno smemorato. (…) Aveva vissuto diciannove anni come un sognatore: guardava senza vedere, ascoltava senza udire, si dimenticava di tutto, di quasi tutto. Cadendo, perdette i sensi; quando li riprese, il presente era quasi intollerabile tanto era ricco e nitido, e così i ricordi più antichi e banali. Poco dopo s’accorse ch’era paralizzato; la cosa appena l’interessò; ragionò ( sentì) che l’immobilità era un prezzo minimo; ora la sua percezione e la sua memoria erano infallibili.
Noi, con un’occhiata, percepiamo tre bicchieri di vino su una tavola. Funes, tutti i tralci, i grappoli e gli acini d’una vite. Sapeva le forme delle nubi australi dell’alba del 30 aprile 1882 e poteva confrontarle, nel ricordo, con le venature della copertina d’un libro che aveva visto una sola volta, o con le spume che sollevò un remo, nel Rio Negro, la vigilia della battaglia di Quebracho. Questi ricordi non erano semplici: ogni immagine visiva era legata a sensazioni muscolari, termiche, ecc. Poteva ricostruire tutti i suoi sogni, tutti i suoi dormiveglia. Due o tre volte aveva ricostruito una giornata intera; non aveva mai esitato, ma ogni ricostruzione aveva richiesto un’intera giornata. Mi disse: «Ho più ricordi io da solo di quanti ne avranno avuti tutti gli uomini da che mondo è mondo». E disse anche: «I miei sogni sono come la vostra veglia». E anche, verso l’alba: «La mia memoria, signore, è come un immondezzaio». Un cerchio su una lavagna, un triangolo rettangolo, un rombo, sono forme che noi possiamo intuire pienamente; lo stesso capitava a Ireneo con i crini scarmigliati d’un puledro, con il fuoco cangiante e l’innumerevole cenere, con una mandria di bestiame in una cuchilla, con i tanti volti d’un morto durante una lunga veglia funebre. Non so quante stelle vedeva nel cielo.
(…) Mi disse che nel 1886 aveva scoperto un sistema originale di numerazione e in pochi giorni aveva superato il ventiquattromila. Non l’aveva scritto, perché già il fatto d’averlo pensato una volta sola bastava per non cancellarlo. Il primo stimolo, credo, gli venne dal dispiacere che per il 33 in numeri arabi ci volessero due segni e due parole, al posto d’una sola parola e d’un solo segno. Applicò subito questo pazzo principio agli altri numeri. Al posto di settemilatredici diceva (per esempio) «Maximo Perez»; al posto di settemilaquattordici, «La Ferrovia»; altri numeri erano «Luis Melian Lafinur, Olimar, zolfo, i fiori ( delle carte), la balena, il gas, la caldaia, Napoleone, Agustin de Vedia». Al posto di cinquecento, diceva «nove». Ogni parola aveva un segno particolare, una specie di marchio; gli ultimi erano molto complicati… Cercai di spiegargli che questa rapsodia di voci sconnesse era precisamente il contrario di un sistema di numerazione (…) Funes non mi sentì o non volle sentirmi.
Locke, nel Diciassettesimo secolo, propose ( e respinse) un linguaggio impossibile in cui ogni singola cosa, ogni pietra, ogni uccello e ogni ramo avesse un nome proprio; Funes aveva pensato, una volta, a un linguaggio analogo, ma l’aveva scartato perché gli sembrava troppo generico, troppo ambiguo. In effetti, Funes non solo ricordava ogni foglia di ogni albero di ogni montagna, ma anche ogni volta che l’aveva percepita o immaginata. Decise di ridurre ciascuno dei suoi giorni passati a un settantamila ricordi, da definire in seguito con cifre. Lo dissuasero due considerazioni: la consapevolezza che il compito era interminabile e che era inutile. Pensò che all’ora della sua morte non avrebbe ancora finito di classificare tutti i ricordi della sua infanzia.
I due progetti che ho detto ( un vocabolario infinito per la serie naturale dei numeri, un inutile catalogo mentale di tutte le immagini della memoria) sono insensati, ma rivelano una certa balbuziente grandezza. Ci permettono di intravedere o di dedurre il vertiginoso mondo di Funes. Questo, non dimentichiamolo, era quasi incapace di idee generali, platoniche. Non solo aveva difficoltà a comprendere che il simbolo generico cane potesse designare molti disparati individui di varia dimensione e forma diversa; ma lo infastidiva il fatto che il cane delle tre e quattordici (visto di profilo) avesse lo stesso nome del cane delle tre e un quarto ( visto di fronte). Il suo proprio volto nello specchio, le sue proprie mani, lo sorprendevano ogni volta. Swift racconta che l’imperatore di Lilliput discerneva il movimento delle lancette d’un orologio; Funes discerneva continuamente il calmo progredire della corruzione, della carie, della fatica. Notava i progressi della morte, dell’umidità. Era il solitario e lucido spettatore di un mondo multiforme, istantaneo e quasi intollerabilmente preciso. Babilonia, Londra e New York hanno offuscato con il loro feroce splendore l’immaginazione degli uomini; nessuno, nelle loro torri popolose e nelle loro strade frenetiche, ha mai sentito il calore e la pressione d’una realtà così intangibile come quella che giorno e notte convergeva sull’infelice Ireneo, nel suo povero sobborgo sudamericano. Gli era molto difficile dormire. Dormire è distrarsi dal mondo; Funes, sul letto, nell’ombra, si figurava ogni fessura e ogni rilievo delle case precise che lo circondavano. ( Ripeto che il meno importante dei suoi ricordi era più minuzioso e più vivo della nostra percezione d’un piacere o d’un tormento fisico). Verso est, in un lotto di terra lontano, c’erano case nuove, sconosciute. Funes le immaginava nere, compatte, fatte di tenebra omogenea; in quella direzione voltava il capo per dormire.
Era anche solito immaginarsi in fondo al fiume, cullato e annullato dalla corrente.
Aveva imparato senza fatica l’inglese, il francese, il portoghese, il latino. Sospetto, tuttavia, che non fosse molto capace di pensare. Nel mondo brulicante di Funes non c’erano che dettagli, quasi immediati.
Il chiarore sospettoso dell’alba entrò per il patio di terra.Allora vidi il volto di quella voce che aveva parlato tutta la notte. Ireneo aveva diciannove anni; era nato nel 1868; mi parve monumentale come il bronzo, più antico dell’Egitto, anteriore alle profezie e alle piramidi. Pensai che ciascuna delle mie parole (ciascuno dei miei gesti) sarebbe durato nella sua implacabile memoria; mi gelò il timore di moltiplicare inutili gesti.
Ireneo Funes morì nel 1889, d’una congestione polmonare”.
Perciò, proprio per questa infelice virtù, Funes era un perfetto idiota. Non poteva fare più nulla… Ora, se qualcuno crede che il World Wide Web possa contribuire a rinforzare la nostra memoria degli eventi passati, consideriamo che il World Wide Web è già (o presto sarà) simile al cervello di Funes. Fino a ora la società ha filtrato le cose per noi, attraverso i libri di testo e le enciclopedie. Con l’arrivo del Web, tutte le possibili conoscenze e informazioni, persino le più inutili, sono lì a nostra disposizione. Quindi la domanda è: chi sta filtrando?
L’estate scorsa stavo lavorando nella mia casa di campagna, senza i trentamila volumi che ho a Milano, e avevo bisogno di alcuni dati sull’Olocausto. Interpellai il Web e trovai un’incredibile quantità di siti. Conoscendo abbastanza bene la storia contemporanea, fui in grado di eliminare i siti che fornivano solo informazioni superficiali e fui lentamente in grado di selezionare, diciamo, i dieci siti che contenevano informazioni vitali. Cosa accade al profano che per la prima volta cerca sul Web delle informazioni elementari sull’Olocausto? L’incapacità di filtrare comporta l’impossibilità di discriminare. Per me, avere diecimila siti sullo stesso argomento equivale a non averne nessuno, perché un individuo (specialmente un giovane) non è in grado di selezionare quelli importanti e affidabili, e anche se fosse in grado non avrebbe tempo di esplorarli tutti.
Abbiamo incrementato la nostra capacità di memoria, ma non abbiamo ancora trovato i nuovi parametri di filtraggio.
Quando ci confrontiamo con il Web, non abbiamo a disposizione né una regola per selezionare le informazioni né una regola per dimenticare ciò che è inutile ricordare. Possediamo criteri di selezione solo nella misura in cui siamo preparati intellettualmente ad affrontare il calvario di navigare il Web. Necessitiamo di centri di formazione (la scuola, i libri, le istituzioni scientifiche, alcuni siti web) che ci insegnino come operare la selezione: deve essere inventata una nuova arte della decimazione.
Altrimenti sette miliardi di abitanti di questo pianeta produrranno sette miliardi di diverse procedure di selezione ideologica. Il risultato potrebbe benissimo essere una società composta da identità individuali giustapposte ( che mi sembra un segno di progresso), senza la mediazione di gruppi ( che mi sembra un pericolo). Non so se una società di questo tipo sarebbe in grado di funzionare correttamente. Persino per inventare qualcosa di nuovo avremmo bisogno di un’enciclopedia condivisa dalla quale iniziare.
Il complesso di Funes ha ossessionato l’umanità fin dall’inizio.
Fin dall’antichità classica, il problema del bisogno di dimenticare emerge parallelamente allo sviluppo di tecniche di memorizzazione attraverso le quali affidare alla memoria la quantità massima di informazioni (specialmente nei secoli in cui l’informazione non era facilmente ottenibile e trasportabile come è diventata, con l’invenzione della stampa prima e dei dispositivi elettronici poi).
L’esempio classico di un dispositivo di memoria consiste nel figurarsi un’immagine spaziale complessa ( un palazzo, una piazza, una città) in cui ci siano elementi architettonici o statue, molte rappresentanti fatti strani o paurosi, ai quali si possa associare ogni tipo di data, concetto, principio logico, evento e così via, in modo che immaginandosi di visitare il luogo e ricordando queste immagini, si possa ricordare un sistema completo di nozioni.
Ma a volte è stato più difficile ricordare le immagini mnemoniche che le date da recuperare.
Nel De oratore (II, 74), per esempio, Cicerone cita il caso di Temistocle, che era stato dotato di una memoria straordinaria. Quando qualcuno gli offrì di insegnargli un’ars memorandi, Temistocle rispose che il suo interlocutore gli avrebbe fatto una grande cortesia se gli avesse insegnato come dimenticare ciò che desiderava dimenticare piuttosto che insegnargli come ricordare, dato che avrebbe preferito essere in grado di dimenticare qualcosa che non voleva ricordare piuttosto che ricordare tutto ciò che aveva sentito o visto: Temistocle provava a fuggire dalla sindrome di Funes.
Il problema dell’eccesso di memoria spiega perché uno dei timori dei praticanti dell’arte mnemonica fosse di ricordare così tanto da confondersi e come risultato dimenticare praticamente tutto. Sembra, infatti, che a un certo punto della sua vita Giulio Camillo ( che inventò un teatro della memoria assolutamente infattibile) dovette scusarsi per il suo stato confusionale e per i suoi vuoti di memoria, citando come spiegazione l’applicazione protratta e frenetica delle sue tecniche di mnemonica… D’altra parte, nella sua polemica contro la mnemonica, Cornelio Agrippa (nel De vanitate scientiarum) affermava che la mente è resa ottusa da quegli artifici mostruosi e l’essere così sovraccaricata la porta alla pazzia. Da qui, subdolamente parallela alle fortune dell’ars memoriae, deriva la riapparizione di volta in volta del fantasma dell’ars oblivionalis.
Perciò nel 1592 un certo Filippo Gesualdo scrisse una Plutosofia, un metodo per l’oblio e, nel suo intento di sviluppare un’arte per dimenticare, suggerì le stesse tecniche di un’arte per ricordare.
Gesualdo suggeriva di immaginare un teatro della memoria in cui di solito venivano collocate diverse immagini associate a qualcosa da ricordare. E poi “durante il giorno con gli occhi chiusi, o di notte nell’oscurità, dovresti vagare con la mente attraverso tutti i posti immaginati, evocando un’oscurità notturna che nasconde tutti i luoghi e, procedendo in questa maniera, e andando indietro molte volte con la mente e non vedendo alcuna immagine, ogni figura presto scomparirà… Proprio come il pittore imbianca i suoi dipinti per cancellarli, così anche noi possiamo cancellare le immagini dei colori dipinti sopra. E questi colori sono bianchi, verdi o neri; immaginando bianche tende a coprire i luoghi, lenzuola verdi o tessuti neri; e tornando su quei luoghi numerose volte con i veli dei colori. E si può anche immaginare i luoghi riempiti con paglia, fieno, legna da ardere, merce, ecc.
La considero una regola eccellente per realizzare nuove figure; perché proprio come un chiodo ne scaccia un altro, così formare nuove immagini e collocarle nei luoghi già immaginati cancella le prime immagini dalla nostra memoria.
O immaginate una grande tempesta di vento, grandine, polvere, edifici e luoghi e templi in rovina, un flusso che lascia tutto in uno stato di confusione. E quando questo pensiero nocivo è proseguito per un po’ ed è stato ripetuto per numerose volte, alla fine andate a passeggiare in quei luoghi con la vostra mente, immaginando un tempo luminoso e calmo e pacifico, e vedrete quei luoghi vuoti e nudi come se fossero creati per la prima volta.
O immaginate un uomo ostile, terribile e temibile (il più crudele e bestiale e aggressivo possibile) che con una truppa di compagni armati entra e passa impetuosamente in quei luoghi e con flagelli, bastoni e altre armi caccia via le sembianze, assalta le persone, manda in frantumi le immagini, mette in fuga da porte e finestre tutti gli animali e le persone animate che abitavano quei luoghi. Fino a che, dopo che il tumulto e la rovina sono passati, guardare quei luoghi con una mente guarita dal terrore, li farà sembrare nudi e vuoti come lo erano prima”.
Non sappiamo se qualcuno abbia mai messo in pratica gli artifici che Gesualdo aveva raccomandato, ma siamo autorizzati a sospettare che tutti questi stratagemmi abbiano reso possibile, non tanto dimenticare, quanto ricordare ciò che il praticante voleva dimenticare – come accade quando gli amanti cercano di cancellare l’immagine della persona che li ha abbandonati, e più la cancellano più vividamente il volto della persona amata si ripropone.
Un altro autore che secoli dopo ha messo in guardia contro l’eccesso di memoria è stato Nietzsche nelle sue seconde Considerazioni inattuali, sui vantaggi e gli svantaggi degli studi storici per la vita. Scrisse sulla capacità di percepire le cose astoricamente: “Chi non sa sedersi sulla soglia dell’attimo, dimenticando tutto il passato, chi non sa stare dritto su un punto senza vertigini e paura come una dea della vittoria, non saprà mai che cos’è la felicità e ancora peggio, non farà mai qualcosa che renda felici gli altri. Immaginatevi l’esempio estremo, un uomo che non possedesse affatto la forza di dimenticare, che fosse condannato a vedere ovunque un divenire (e lasciatemi supporre che Borges, quando inventò Funes, stava pensando a queste pagine di Nietzsche). Un tale uomo non crederebbe più al suo proprio essere, non crederebbe più a se stesso, vedrebbe scorrere ogni cosa l’una dall’altra in un movimento di punti e si perderebbe in questa fiumana del divenire (…) Un uomo che volesse sentire in tutto e per tutto in modo storico, sarebbe simile a colui che fosse costretto ad astenersi dal sonno, o all’animale che dovesse vivere soltanto del suo ruminare e di un sempre ripetuto ruminare. Dunque, è possibile vivere quasi senza ricordare, anzi vivere felicemente, come mostra l’animale; ma è del tutto impossibile vivere in generale senza dimenticare. O, per spiegare più chiaramente la mia tesi: C’è un grado di insonnia, di ruminazione, del senso storico, che rende la vita un danno e alla fine la distrugge, che si tratti di una persona o di un popolo o di una civiltà”.
Una delle cose interessanti di questo testo è che, mentre queste osservazioni sembrano rispondere all’esigenza di sopravvivenza dell’individuo, da parte delle civiltà in generale l’enfasi si sposta sul bisogno di una dimenticanza sistematica. Questo spostamento è di importanza capitale perché, una volta dimostrata l’impossibilità di dimenticare volontariamente ciò che la memoria individuale ha registrato, le civiltà si presentano come sistemi che funzionano, non solo per preservare e trasmettere informazioni utili alla loro sopravvivenza in quanto civiltà, ma anche per cancellare le informazioni giudicate in eccesso.
FILTRAGGIO
Per preservare la propria identità, una civiltà non deve solo comportarsi come un archivio di informazioni, ma anche come un filtro. La storia delle civiltà è una sequenza di abissi nei quali si sono perse tonnellate di informazioni. I Greci erano già incapaci di recuperare le competenze matematiche degli Egizi; il Medioevo ha perso la scienza greca, tutto Platone (eccetto un dialogo) e metà Aristotele. Alcune di queste perdite furono meramente accidentali (è stato un peccato aver perduto, per esempio, la matematica della Mesopotamia, se c’è mai stata una cosa del genere), alcune furono dovute alla censura, alcune parti della conoscenza perduta furono in qualche modo riscoperte più tardi, ma in generale la funzione di una memoria sociale e culturale è di agire da filtro, non di preservare tutto.
Sarebbe folle che un libro si storia romana riportasse ciò che accadde a Calpurnia, la moglie di Cesare, dopo la morte di suo marito. Che tra l’altro non fu una cospirazione maschilista, perché la storia ha invece registrato ciò che accadde a Clara Schuman dopo la morte di Robert, dal momento che Clara durante la vedovanza era ancora famosa come pianista e, per di più, c’erano molte voci su una relazione con Brahms – così che la sua vita appartiene agli eventi che una civiltà giudica importante ricordare.
La mia vita non è stata e certamente non sarà abbastanza lunga per darmi l’opportunità di scoprire la struttura del Sistema solare, la tavola di Mendeleev, il teorema di Pitagora, la storia inglese e la grammatica e per decidere se Darwin aveva ragione e Lamarck torto. Ecco perché ho bisogno di istituzioni che filtrino le informazioni importanti al posto mio, così che il nucleo delle mie informazioni sul Sistema solare sia più o meno simile ( non uguale per dimensione) al vostro. Per raggiungere un tale obiettivo, è necessario un certo gregarismo culturale. Ecco perché accettiamo il filtro fornito dalla memoria collettiva, dalla storia e dalla tradizione.
Filtrare non significa cancellare. È un dato di fatto che di frequente le società non ci facciano dimenticare ciò che sappiamo o sapevamo, ma ci impediscono di scoprire ciò che non sappiamo ancora. Perciò accade che una civiltà possa operare diversi tipi di cancellazione che può spaziare dalla censura (la cancellazione di manoscritti, i falò di libri, la damnatio memoriae, la falsificazione di fonti documentarie, il negazionismo) fino alla dimenticanza causata da vergogna, inerzia, e rimorso.
LATENZA
Come reagire a perdite di memoria ed eccessi di cancellazione? Come decidere quando è necessario un filtraggio e quando dovremmo recuperare quanto illecitamente eliminato?
Se leggiamo la Poetica di Aristotele troviamo la menzione di molte tragedie che non sono sopravvissute fino ai giorni nostri. Non sappiamo perché queste tragedie siano andate perdute, così come i nomi dei loro autori. Un’ipotesi naive è che Sofocle, Eschilo ed Euripide siano sopravvissuti perché erano i migliori. I migliori secondo quale criterio? Per quali ragioni imperscrutabili sono stati selezionati per entrare nel canone? Forse furono censurate tragedie meravigliose, forse qualche autorità ateniese corrotta ordinò che Sofocle fosse eseguito più frequentemente di qualche sfortunato collega?
Non so se queste tragedie perdute possano essere ritrovate da qualche parte, come accadde con le pergamene del Mar Morto. Ma so che vi sono individui specializzati (come gli storici e gli archeologi) che sono in grado di riportare alla luce molti dati cancellati. In questi casi, la memoria collettiva recupera questi dati e li restaura nella nostra enciclopedia condivisa. A volte, al contrario, una civiltà decide che questi dati possono essere utili per ricerche specifiche ma che sono irrilevanti per la gente comune e li abbandona in qualche “riserva indiana”, ovvero nelle enciclopedie specialistiche.
In questo modo una civiltà matura decide di relegare alcune informazioni in uno stato di latenza. L’informazione in eccesso, quindi, è o è stata congelata in modo che quando si riveli necessaria gli esperti possano metterla in un microonde e riesumarla, per esempio per decifrare un antico documento di recente scoperta.
Questi luoghi di latenza sono rappresentati dal modello di una biblioteca o di un archivio come gli indispensabili contenitori di una saggezza che può ancora essere rivisitata anche se non era stata riesumata per secoli.
Fino a oggi nessuna enciclopedia e nessuna biblioteca tiene traccia di tutti i soldati che presero parte alla battaglia di Waterloo (e immaginate che tragedia sarebbe obbligare i giovani studenti a ricordare a memoria questi nomi come sono obbligati a ricordare la data della battaglia di Waterloo e i nomi di Wellington o Cambronne)… Supponiamo ora che uno studioso riesca a mettere le mani su archivi ancora sconosciuti e trovi la lista di tutte le persone che hanno combattuto a Waterloo. Non so quanto utile possa essere avere tutti quei nomi, ma potremmo sempre trasformare questi dati in un’enciclopedia iperspecializzata. Perciò possiamo dimenticare facilmente questi nomi e allo stesso tempo essere certi che, se ne abbiamo bisogno, li possiamo trovare in qualche archivio latente.
A quale enciclopedia appartengono i testi delle tragedie perdute menzionate da Aristotele? Fino a ora un’enciclopedia letteraria specializzata può semplicemente registrare il fatto che di questi testi conosciamo solo i titoli. Cosa succederebbe se questi testi non venissero mai recuperati? Poiché vi sono buone ragioni di credere che un tempo siano realmente esistiti (supponendo che Aristotele non fosse un maledetto bugiardo), continueremo a pensare che essi abbiamo potuto appartenere a una sorta di Enciclopedia Massima, anche se vi appartengono solo virtualmente in modo ottativo.
Perciò l’Enciclopedia Massima, se solo il termine ci lascia pensare a qualcosa cujus nihil majus cogitari possit, qualcosa di cui non possiamo immaginare nulla di più grande, come il Dio di Anselmo di Canterbury, è una struttura virtualmente a fisarmonica, che può ogni giorno essere allungata ad infinitum.
E questo non è di poco incoraggiamento per il progresso della conoscenza.
Schiacciati tra una memoria debole e il suo massimo eccesso nel labirinto di un’enciclopedia solo virtualmente massima, che cosa potremmo suggerire ai nostri figli che non sanno neanche che cosa accadde solo pochi decenni fa?
L’unica soluzione per arricchire la nostra memoria è leggere. Leggere non solo arricchisce la nostra memoria, ma ci allunga anche un po’ la vita. Pensate a un giorno o a una settimana in cui avete vissuto molti, molti eventi, tutti emozionanti ( indipendentemente che fossero gioiosi o stressanti). Ricorderete queste ore o giorni come ricchi di esperienze e avrete l’impressione di aver avuto una vita piena. Al contrario, se avete passato ore o giorni nei quali non è accaduto nulla di rilevante, questi giorni privi di eventi significativi scompariranno dalla vostra memoria. Avrete l’impressione di non aver vissuto affatto durante quel periodo di tempo.
Penso che questa sia una delle ragioni per le quali gli uomini hanno speso molta energia per recuperare le cose del passato. Se, insieme ai nostri ricordi personali, conserviamo anche il ricordo del giorno in cui Giulio Cesare fu assassinato, o della battaglia di Waterloo, e persino del giorno immaginario in cui morirono Romeo e Giulietta, e se ricordiamo, come un ricordo personale, il viaggio su Hispaniola con Jim, il dottor Livesey, il capitano Smollett, Lord Trelawney e Long John Silver – alla fine della nostra esistenza dovremmo avere l’impressione di aver vissuto molto, non solo decenni, ma persino secoli.
Nel mio ultimo istante di vita ricorderò non solo ciò che è accaduto a me, ma anche l’estinzione dei dinosauri, la battaglia di Poitier, l’istante in cui Madame Curie ha scoperto il radio, e il momento magico in cui Dante vide la rosa mistica… tutti questi ricordi saranno parte della mia esistenza.
Come lettore ho vissuto una vita così lunga che non posso ricordare tutto in un singolo momento e spero che avrò abbastanza tempo per ricordarla a puntate.
In un mondo in cui si è tentati di dimenticare o ignorare troppo, la riconquista del nostro passato collettivo dovrebbe essere tra i primi progetti per il nostro futuro.