la Repubblica, 18 febbraio 2018
L’amaca
Se davvero Berlusconi vincesse le elezioni, sia pure come capo di un assurdo accrocco di europeisti e antieuropeisti, di liberali e di fascisti, l’Italia diventerebbe (meritatamente) un caso clinico mondiale, con gli archivi di giornali e telegiornali di tutto il pianeta alla ricerca delle vecchie vignette sul bunga bunga e dei vecchi filmati di repertorio, quelli con Silvio nella parte dell’italiano che fa lo spiritoso – non sapendo fare altro – tra i potenti della Terra. E mentre all’estero la butterebbero in commedia, le ricadute tragiche e umilianti sarebbero solamente nostre, come è giusto che sia: mica possiamo pretendere che il resto del mondo, Europa compresa, si preoccupi più di tanto di un popolo tanto impresentabile da ripresentarsi, dopo tutto quello che è successo, berlusconiano.
La prima delle ricadute, e la più prevedibile, sarebbe la penosa rissa tra gli sconfitti (la sinistra in cocci, l’inutile armata grillina) che si accusano a vicenda di non avere saputo evitare l’orribile dischiusa del sepolcro politico nel quale giaceva quel signore. Passata quella tempesta emotiva, i veri conti da fare saranno quelli con la crisi depressiva di un paese che si ritrova, venticinque anni dopo, a venticinque anni prima. Unico possibile vantaggio: che la crisi di autostima sia così profonda, e definitiva, da distruggere per sempre tutti i nostri alibi.