la Repubblica, 18 febbraio 2018
Senato, la rincorsa da condannato dell’ex Celeste Roberto Formigoni
MILANO Che fine ha fatto Roberto Formigoni? Le giacche pastello, le camicie a fiori, le mille trovate delle campagne elettorali del passato: l’Internet radio, la web tv, le suonerie telefoniche con la sua voce, gli slogan declamati a ritmo di rap, gli spot online che si aprivano magicamente sui monitor anche quando cercavi gli orari dei treni? Tutti gli escamotage delle sue cavalcate trionfali verso l’elezione: due volte al Parlamento europeo, quattro a quello italiano, quattro volte alla carica di governatore della Lombardia. Che fine hanno fatto i bagni di folla compiaciuti, la sicurezza ostentata, i rosari di numeri sull’eccellenza lombarda (e delle sue amministrazioni)?
Formigoni è candidato anche questa volta, al Senato, in tre collegi: Milano, Monza-Brianza e Bergamo-Brescia. Solo al proporzionale. Che per un partito piccolo come il suo – Noi con l’Italia – che viaggia sul filo del 3%, è tutt’altro che una garanzia di elezione. Altra storia se fosse stato candidato nell’uninominale, con un centrodestra che in Lombardia si accinge a fare il pieno di seggi. Ma ci sarebbe voluto l’accordo di tutti i partiti della coalizione e per Formigoni non è più tempo.
L’ex Celeste si porta sulle spalle il peso di una condanna in primo grado a sei anni per corruzione: la vicenda è quella delle vacanze esotiche, degli yacht in Sardegna, delle cene in ristoranti stellati pagati dai lobbisti della sanità.
Che, secondo la prima sentenza, in cambio delle loro regalie milionarie al governatore ottenevano generosi finanziamenti per le cliniche private da loro rappresentate.
Con le stesse motivazioni (cambia solo il lobbista: Guarischi al posto di Daccò) Formigoni sta affrontando un secondo processo per corruzione: vacanze di lusso in Sudafrica e Croazia in cambio dell’acquisto di macchinari oncologici prodotti dall’azienda rappresentata da Guarischi.
Certo, questa campagna elettorale è diversa dalle altre: Formigoni non si gioca una leadership, non ci sono le preferenze e ci sono molti meno soldi che in passato. Soprattutto non esiste più il carrarmato elettorale di Comunione e Liberazione che marcia compatto e garantisce l’elezione ai suoi candidati. L’entusiasmo ha ceduto il passo alla disillusione.
Tra i ciellini si continua a discutere di politica, ma le scelte sono individuali. In Lombardia, per dire, mentre Maurizio Lupi e Raffaello Vignali (Compagnia delle opere) marciano insieme a Formigoni nelle file di Noi con l’Italia, l’ex braccio destro del Celeste in Regione, Paolo Alli, si candida al Senato con la Lorenzin, alleata con il Pd. Tra i giovani ha scelto Noi con l’Italia Deborah Giovanati, la mamma di Niguarda che due anni fa fece il pieno di preferenze al Municipio 9 di Milano; mentre Luca De Simoni e Daniela Colombo hanno optato per la lista civica di Gori alle Regionali (e la Colombo per la lista Lorenzin, al Senato). Il popolo di Cielle non è più propenso agli osanna in coro. E tra i ciellini il disagio per la fase finale della parabola di Formigoni è almeno pari all’ammirazione per quanto il Celeste aveva saputo fare durante i lunghi anni della sua ascesa.
Parlare di imbarazzo, nel caso di Formigoni, è forse fuori luogo. Ma è difficile immaginare che la condanna penale e quelle immagini del Celeste sul ponte dello yacht, scolpite nella memoria degli elettori, non siano almeno una delle ragioni di una campagna così sottotono.
Dall’annuncio della candidatura gli appuntamenti pubblici si contano sulle dita, quasi tutte presentazioni di partito: a Brescia, al Palazzo delle Stelline a Milano, a Cremona, Monza, Lecco, Cassano d’Adda.
Pochissime apparizioni televisive (tv berlusconiane), zero mercati rionali, dibattiti pubblici, teatri, bagni di folla. Sui profili social (i commenti dei lettori non sono equamente divisi tra insulti – prevalenti – e incoraggiamenti) un tempo accuditi con cura maniacale, pochi post e qualche video per lanciare la proposta della «difesa sempre legittima in casa propria» e per denunciare la «barbarie e la macchina del fango giustizialista» in occasione dell’assoluzione di Bertolaso.
E che le vicende giudiziarie siano il nervo scoperto di questa camminata sui carboni ardenti che è la campagna di Formigoni lo dimostra anche il vero e proprio “salto mortale” azzardato dall’ex Celeste in uno dei suoi ultimi interventi pubblici: un post intitolato “Formigoni assolto” e il solito video in cui attacca pubblici ministeri e «i giornaloni» che non hanno dato la notizia della sua assoluzione.
Solo che il processo in questione riguardava altri imputati, gli ultimi coinvolti nella vicenda della discarica di Cappella Cantone. Lui, Formigoni, da quelle accuse era già stato prosciolto. Prima ancora del processo, nell’aprile del 2016.