la Repubblica, 17 febbraio 2018
Il Sessantotto e il mocassino
Come tutti gli anniversari, anche quello del fatidico Maggio 1968 sta comportando una serie di ossessive celebrazioni. Nel nostro caso, equamente spartite tra nostalgiche e risentite – a seconda che in quell’anno si sia stati belli e consapevoli o grassocci e livorosi. Di fatto, le pagine dei media e la rete sono già da tempo stracolme di immagini: per chi le ricorda, anche se da lontano, lancinanti come il racconto di un paradiso perduto. In ogni caso, piene di sorprendenti testimonianze; ad esempio, sull’aspetto del femminile in quei tumulti.
Dunque, signorine ben messe, cotonate, con abiti sobri, borsa e calzature come si conveniva a studentesse universitarie.
La buriana stilistica verrà subito dopo: giacché quell’inattesa esplosione di disobbedienza sorprendeva le nostre diciannovenni in pieno buon gusto Valentino: orecchini vistosi, gran bottoni, foulard, kilt e cachemire acquistati a Londra; eye-liner egizi. Poiché le rivoluzioni si fanno in abiti borghesi, seduti in confortevoli ambienti ben arredati. E così queste immagini ci rendono un’umanità privilegiata, con segnali di Moda precisi e inconfondibili.
Stessa cosa per i maschi, che prima di scapigliarsi con criniere al vento, fondo dei pantaloni elefantiaco e risicati pullover scopri-ombelico somigliano tanto, in queste immagini, ai più noiosi studenti di Economia e commercio. Gli abiti da combattimento verranno dopo. Allora ci si contentava di un rispettabile aspetto da primo impiego bancario: camicia, cravatta e mesto abito Facis. La fantasia al potere li raggiungerà più tardi, donne e uomini, e l’India scorrerà a fiumi per le nostre strade.
Dunque sorprende constatare che, dopo mezzo secolo, di questo repertorio non resti che un certo mocassino, a pianta larga e di vernice: dopo tacchi come gru meccaniche e ogni sorta di rivoltante impiastro sulla tomaia, tutto si poteva immaginare meno che, ai piedi delle più informate influencer, tornasse quel mocassino basso, così tanto ’68. Scrollandosi di dosso gli inimmaginabili pasticci (magari di maccheroni e perle) portati fino a ieri.