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 2018  febbraio 19 Lunedì calendario

I dieci anni di rabbia e povertà di Atene

La prima volta in cui Alexis Tsipras neo-leader di Syriza, la coalizione di sinistra radicale, pensò di avere qualche chance di vincere le elezioni fu nel 2012. Lo sottolineò in apertura del primo comizio elettorale all’inizio della campagna per le consultazioni di giugno di quell’anno. Ad ascoltarlo, nel quartiere operaio di Nikea (Vittoria, ndr) nei pressi del Pireo, il porto di Atene, c’era però solo un centinaio di persone. La maggior parte erano donne, perlopiù mogli e figlie delle migliaia di disoccupati di quella che fino al 2009 era l’industria più fiorente del paese: la cantieristica navale. I loro mariti e padri, fieri operai che fino ad allora avevano votato per il partito comunista greco e soprattutto per i socialisti del Pasok, preferirono invece rimanere a casa o cambiare percorso. In direzione del comizio di Alba Dorata, a poca distanza. Il partito neonazista e xenofobo greco stava infatti ritirando fuori la testa con una spavalderia mai mostrata fino a quel momento e toni ancora più populisti del solito, approfittando della crisi politico-economica di giorno in giorno più drammatica e dell’affluenza sempre più massiccia di profughi da Afghanistan e Siria.
Ufficialmente il tracollo economico greco diventò di dominio pubblico nel 2009, ma era un segreto di pulcinella anche tra i non addetti ai lavori già da un anno. Sono pertanto dieci anni che la maggior parte dei greci – 11 milioni in tutto – vivono in condizioni da terzo mondo. Anche durante questi mesi invernali sono ancora in tanti a non potersi permettere di pagare il riscaldamento e a ricorrere alle stufe a legna.
La tragedia più devastante della storia contemporanea greca dopo la fine della dittatura dei Colonnelli nel 1974 fu dichiarata da George Papandreou, figlio di Andreas, fondatore del partito socialista panellenico Pasok e già primo ministro. George (esponente della famiglia che dall’uscita di scena della Giunta militare si è alternata fino al 2015 alla guida della repubblica greca con la famiglia Karamanlis e Mitsotakis del partito conservatore Nea Dimokratia), da poco diventato premier ammise apertis verbis che il deficit statale era in realtà il doppio di quello stimato dal precedente governo. Per questo lo Stato greco sarebbe potuto collassare a causa dei debiti contratti e dichiarare bancarotta. Poco dopo l’agenzia di rating Fitch retrocesse il Paese da A- a BBB, definendo spazzatura i titoli di Stato. Nel 2010, per la prima volta dalla costituzione dell’Unione europea, un paese membro si ritrovò a chiedere un prestito alla stessa Ue e al Fondo Monetario Internazionale.
Da allora, nonostante e a causa dei prestiti capestro della troika – Unione europea, Banca Centrale Europea e Fmi – la disoccupazione è andata via via impennandosi e nemmeno la vittoria di Syriza alle elezioni del 2015- dunque 3 anni dopo l’inizio della scalata al potere di Tsipras – ha invertito la spirale negativa. Eletto due volte durante l’anno, dopo il pasticciaccio del referendum del 5 luglio e il crollo del sistema bancario, il leader della sinistra radicale si è ritrovato a dover fare i conti con la dura realtà di chi va al governo e quindi ad accettare i compromessi della realpolitik. Emblematica fu la frase: “Volete anche la mia giacca?” che Tsipras pronunciò durante il tesissimo incontro con gli esponenti della troika nell’agosto di quell’anno per ottenere il terzo salvataggio. Ovvero una nuova tranche di prestiti in cambio di riforme draconiane che hanno strangolato ancora di più il ceto medio spingendolo nell’indigenza vera e propria.
Una tragedia socio-economica di cui Tsipras non aveva alcuna colpa. Perché era stata provocata dalla malapolitica e dalla corruzione del partito conservatore Nea Demokratia e del socialista Pasok, che per più di quaranta anni hanno governato a fasi alterne il Paese.
Nonostante gli indicatori macroeconomici segnalino un miglioramento, le condizioni di vita del “coro greco” sono ancora molto difficili. La microeconomia, e di conseguenza le possibilità economiche della gente comune, rimangono pressochè bloccate a causa delle scioccanti misure di austerity imposte dalla troika. A dirigere fin dall’inizio l’orchestra dell’austerity è stato il ministro uscente delle Finanze tedesco, Wolfgang Schauble, che mirava a punire la Grecia per mostrare al resto dell’Unione che i desiderata di chi tiene la bacchetta economica della Ue in mano vanno seguiti senza discutere. Pena l’espulsione. Ma non prima di aver di fatto appoggiato il saccheggio degli asset dello Stato greco da parte di società tedesche, come Fraport. Un esempio per tutti: l’acquisto in blocco a prezzo stracciato delle concessioni per la gestione dei 14 aeroporti interni greci.
A lucrare sulla miserrima condizione socio-economica e sulla corruzione endemica della classe politica greca hanno contribuito anche multinazionali di paesi esterni all’Unione. Come il gigante farmaceutico svizzero Novartis che ha corrotto, secondo la magistratura ellenica, i principali esponenti dei due maggiori partiti oggi finiti all’opposizione sopra citati. In cambio di cospicue tangenti all’ex primo ministro conservatore Samaras, all’ex vice premier ed ex ministro degli Esteri socialista Venizelos, al Commissario Ue all’’Immigrazione Avramopulos fino al governatore della banca centrale greca Stournaras e ad altri ministri e parlamentari, Novartis è riuscita a imporre i propri farmaci e ausili paramedici al sistema sanitario pubblico. Inoltre ha imposto anche l’aumento dei loro prezzi che fungono da parametro di riferimento per determinare i costi degli stessi medicinali negli altri paesi dell’Unione. Tra i quali l’Italia. Mentre la magistratura attende che il Parlamento decida se acconsentire o meno a togliere l’immunità ai parlamentari coinvolti per metterli sotto processo, proprio Stournaras – in qualità di governatore della Banca Centrale – ha recentemente diffuso previsioni economiche positive per l’anno in corso e soprattutto per il 2019. La luce in fondo a un tunnel lungo dieci anni.