La Stampa, 19 febbraio 2018
Achille Castiglioni il mago curioso che giocava con le cose
«Spesso mio padre veniva in studio con qualche “cosa”, un paio di occhiali o una pantofola, trovate chissà dove e mi diceva “metti là, che magari matura”»: a parlare, nello studio-museo di piazza Castello, è Giovanna Castiglioni, figlia di Achille, il geniale architetto e designer milanese, scomparso nel 2002, di cui si celebra quest’anno il centenario. Cosa Castiglioni intendesse per «magari matura» lo si capisce girando per le stanze dello studio, dove su un vecchio tecnigrafo fa bella mostra di sé una serie di stampi da budino. Ebbene, quelle forme per budini stampi hanno offerto lo spunto per una serie di cappelli, mentre in un altro angolo di questo «antro delle meraviglie» ci sono bobine per pellicole super8 diventate basi per lampade da tavolino.
La carica dei 112
«Per i cent’anni – spiega Giovanna – abbiamo pensato a una festa di compleanno e abbiamo chiesto ai suoi amici e a chi aveva lavorato con lui di mandarci un regalo, ma non una cosa importante, di quelle che mettono in imbarazzo chi la riceve. No, un oggetto “anonimo” e di uso comune, come quelli che mio padre raccoglieva in giro. Abbiamo anche chiesto a tutti di accompagnare l’oggetto con un biglietto di auguri». Il risultato di questo appello, indirizzato a 100 persone («ma hanno risposto in 112 e non potevamo mica dire di no a qualcuno»), è la mostra «100x100 Castiglioni» a cura di Chiara Alessi e Domitilla Dardi: dopo la festa di inaugurazione di venerdì scorso, anniversario della nascita del designer, apre oggi al pubblico. E fa da prologo alle celebrazioni che si concluderanno con la grande personale d’autunno alla Triennale. «Mio padre si è anche occupato di allestimenti e a questo aspetto della sua attività sarà dedicata in primavera un’altra rassegna a Chiasso», aggiunge la figlia.
Inutile dire che a rispondere alla richiesta di mandare un regalo e un biglietto è stato il gotha del design italiano e internazionale, così ad esempio hai la grattugia regalata da Nanda Vigo e il profilometro (lo strumento che usano gli archeologi per rilevare il profilo di un vaso antico) spedito dalla spagnola Patricia Urquiola. Il francese Philippe Starck ha mandato una graffetta con un biglietto che dice «Facci ancora un capolavoro». E tra le teche della mostra non finisci mai di sorprenderti. Ci sono dadi da gioco e palloncini gialli, il metro della sarta e quello del falegname, un dispenser per acqua da colibrì (l’ha mandato un designer brasiliano) e un pupazzo di peluche, un aeroplanino di carta o uno scolapasta. Il gioco di indovinare chi ha mandato cosa mette allegria, sotto l’occhio sornione di Castiglione il cui volto «ritagliato» per maschere di Carnevale occhieggia qua e là dalle pareti. Non meno interessanti sono i biglietti, c’è chi lo chiama A-killer e chi disegna un astice, chi fa giochi di parole e chi lo saluta semplicemente con un ciao.
Creazioni utili alla gente
«Mio padre non credeva nei pezzi “firmati”, a lui importava che le sue creazioni, spesso nate da oggetti anonimi trovati casualmente, avessero una funzione, voleva che servissero a qualcosa, che fossero utili alla gente». E anche se molti dei suoi oggetti, come la celeberrima lampada Arco per la Floss, sono entrati non solo nelle case di migliaia di persone ma anche nei musei di tutto il mondo (il MoMa gli dedicò una grande mostra negli Anni 90), non si riteneva una star: la chiave della sua creatività stava nell’ironia e nella curiosità. «Se non sei curioso, lascia perdere» era una della frasi che amava ripetere agli allievi. Il «mago» Castiglioni capace di trasformare un oggetto in un altro, faceva però tutto con grande leggerezza. «Mio padre – ricorda ancora la figlia – non si prendeva molto sul serio, si divertiva e ci faceva divertire».
Nato a Milano nel 1918 da una famiglia di artisti, Castiglioni si laureò in Architettura nel 1944 al Politecnico di Milano ed entrò subito dopo a lavorare nello studio dei fratelli più grandi Livio e Pier Giacomo, con cui firmò progetti urbanistici, allestimenti e oggetti di design. Tra le sue creazioni più famose, oltre alla lampada Arco, la sedia Mezzadro, i bicchieri Orseggi, il sedile Allunaggio, la poltrona Sanluca. «Achille Castiglioni – spiega Chiara Alessi – appartiene alla generazione di designer del dopoguerra, un periodo in cui gli oggetti e le creazioni portavano il nome dell’azienda che li metteva in produzione. Poi si è passati all’epoca dei designer-star in cui ogni oggetto era importante non perché servisse o no a qualcosa, ma solo perché firmato da questo o quel designer. Oggi viviamo un periodo più riflessivo e si torna a pensare ai processi di produzione».
Attuale diventa la lezione di Castiglioni che ha insegnato a giocare con le «cose», ma sempre pensando che dovessero avere una funzione. Proprio come quella borsa impellicciata dei postini svizzeri o quelle tenaglie da fabbro che qualcuno gli ha regalato per i suoi cent’anni.