La Lettura, 18 febbraio 2018
Il clone è brutto e sciocco. Ma utile
La clonazione di due scimmie macache, Zhong Zhong e Hua Hua, un evento di particolare importanza per la biomedicina, ha scatenato come al solito non un sincero interesse per il traguardo raggiunto, ma la fantasiosa idea che ora gli scienziati pazzi sono pronti a creare i bambini disegnati a tavolino. E subito l’universo mediatico s’è in gran parte riferito al mondo del dottor Frankenstein, ritenuto responsabile persino del «cibo Frankenstein», gli Ogm. In questa occasione gli equivoci sono stati agevolati dal fatto che ricorre il bicentenario di quel poetico e struggente romanzo che Mary Shelley scrisse nel gennaio del 1818 Frankenstein, o il moderno Prometeo. Nell’immaginario popolare quel capolavoro è divenuto sinonimo dei pericoli che l’umanità corre dinnanzi all’arroganza e alla presunzione degli scienziati che «giocano a fare Dio». E così anche la clonazione di Zhong Zhong e Hua Hua non è sfuggita a questa ricostruzione, con colleghi scienziati che prefigurano la clonazione quale metodo riproduttivo e terrorizzati uomini di Chiesa che ammoniscono sulla necessità di arrestare questi studi simil-Frankenstein: del tutto fraintesi gli obiettivi dei ricercatori, che non mirano alla clonazione di uomini, un noioso e ripetitivo monito alle fughe in avanti degli scienziati con fantasiose dichiarazioni di fecondatori assistiti in cerca di pubblicità e di santoni di sette religiose che mantengono viva questa errata visione. Paradigmatici a questo proposito i raeliani (www.rael.org) presso i quali è possibile farsi clonare oppure acquistare la macchinetta per clonarsi da sé (il prezzo ora è sceso ed è abbordabile, www.clonaid.com).
Tutto ciò alimenta un’errata percezione pubblica tra ciò che la scienza può fare e ciò che dovrebbe fare, e una gran confusione che porta a una viscerale tecnofobia. Persino un premio Nobel per la letteratura, Kazuo Ishiguro, ha concorso a creare immaginari tecnofobici con lo struggente romanzo Non lasciarmi, prospettando fattorie di umani clonati per ottenere «pezzi di ricambio» per pochi eletti. Dunque è bene precisare che «la creatura» del dottor Victor Frankenstein è un prodotto di chirurgia ed è opera di assemblaggio di varie parti anatomiche, mentre il clone è prodotto da un atto generativo, è legato alla riproduzione, ed è in questo contesto che deve indirizzarsi la riflessione, spiegando che cosa significa clonazione, dove siamo arrivati e perché dobbiamo continuare questi studi; sulla base di queste informazioni è possibile sviluppare una riflessione critica e costruttiva.
La clonazione è la produzione, per via naturale o artificiale, di individui geneticamente identici. Ed è un frequente fenomeno spontaneo nei vegetali e in molti gruppi di animali. In molti gruppi zoologici, i cloni compaiono per i seguenti fenomeni: a) riproduzione asessuata (vegetativa), in questo caso i cloni sono anche geneticamente identici al genitore; b) poliembrionia, nei mammiferi, per scissione degli stadi embrionali precoci; il che è occasionale nell’uomo e in molti altri mammiferi ma è la norma nell’armadillo a nove bande (Dasypus novemcinctus) che a ogni parto produce quattro cuccioli/cloni (nell’armadillo a dodici bande nascono otto cloni). Nella poliembrionia i nuovi nati sono geneticamente differenti dal genitore, ma cloni tra loro. Nella nostra specie si stima che circa una nascita su 4500 sia di gemelli monozigoti (a dire di gemelli identici, e dunque di cloni) il che significa che nella nostra specie, ogni minuto circa, nascono cloni. Diverse sono le modalità attraverso le quali, in natura, si realizza la clonazione. Nei Protozoi (unicellulari), si verifica per scissione, longitudinale o trasversale, della cellula/individuo. Negli animali multicellulari si attua con meccanismi di scissione o gemmazione o frammentazione e può accadere in diverse fasi dello sviluppo, nell’embrione o nella larva o nell’adulto.
La clonazione è artificialmente riproducibile grazie a due tecniche: a) suddivisione dell’embrione; b) trasferimento di nuclei somatici (per fusione di cellule somatiche con cellule uovo, come Dolly la pecora; per solo trasferimento di nuclei somatici in cellule uovo, come Cumulina il topo, tecnica di Honolulu). Artificialmente, la prima di queste tecniche simula quanto accade in natura nel caso dei gemelli identici: l’embrione ai primissimi stadi di sviluppo viene suddiviso in due o più subunità, ciascuna delle quali dà origine a un individuo/clone. L’embryo splitting è molto usato in veterinaria per aumentare il numero di esemplari di particolare valore economico. La tecnica del trasferimento di nuclei somatici (via Dolly o Honolulu) permette di ottenere cloni impiegando cellule da qualsivoglia stadio dello sviluppo e in particolare da individui adulti. Questa tecnica è stata sviluppata nel corso di diverse decadi a partire dalla intuizione teorica dell’embriologo tedesco Hans Spemann (premio Nobel per la Medicina nel 1935) il quale, nel 1938, propose un esperimento «fantastico»: suggerì di prelevare il nucleo da una cellula di un embrione in avanzate fasi di sviluppo (oppure di un individuo adulto) e trasferirlo nel citoplasma di una cellula uovo enucleata. La proposta dell’esperimento «fantastico» in pieno periodo nazista porterà a malintesi sulla figura di Spemann, erroneamente presentato come scienziato nazista: si pensi al film del 1978 I ragazzi venuti dal Brasile con le superbe interpretazioni di Gregory Peck e Laurence Olivier dove il genio di Spemann è paragonato al medico criminale Josef Mengele che vuole clonare Hitler. L’inadeguatezza della tecnologia impedì a Spemann di eseguire questo esperimento, ma altri dopo di lui lo tentarono nel corso di molti decenni.
Continui perfezionamenti strumentali (in particolare delle micropipette impiegate per manipolare cellule e nuclei) permettono negli anni Sessanta-Settanta del secolo scorso a John Gurdon (Nobel nel 2012) di ottenere dapprima lo sviluppo di un embrione e poi quello di un individuo adulto nel rospo sudafricano Xenopus laevis. Gurdon dimostra così che i nuclei di cellule somatiche differenziate, trasferiti nel citoplasma di una cellula uovo enucleata, sono in grado di modificare il loro programma genetico fino ad assumerne uno nuovo, di tipo embrionale: oggi diciamo che sono in grado di azzerare il programma epigenetico e di ripartire con quello embrionale. Ed è ancora oggi questo il campo di indagine della comunità scientifica della clonazione: capire quali sono i fattori epigenetici che controllano l’espressione genica nei diversi tipi cellulari che compongono il nostro corpo e attraverso quali meccanismi è possibile alterarli, cancellarli, reimporli; il fine ultimo non è la riproduzione umana ma il controllo delle malattie: questo è facilmente comprensibile con poche riflessioni.
Tutti i diversi tipi di cellule che compongono il nostro corpo hanno in comune il medesimo genoma, la medesima struttura e composizione primaria del Dna; ciascun tipo però esprime uno specifico e diverso repertorio di sequenze di quel genoma (geni) per specificare le cellule della pelle o ossa o muscoli... Ciò è possibile grazie a un fine controllo dell’espressione (accensione o spegnimento) dei repertori genici che specificano i vari tipi di cellule, controllo esercitato da modificazioni chimiche secondarie della struttura primaria del Dna; ad esempio dall’aggiunta di gruppi chimici, sovente di gruppi metilici, a basi del Dna o ad alcune proteine che avvolgono il Dna. Accensioni e spegnimenti di geni accadono nel corso dello sviluppo embrionale e la differenziazione cellulare ne è il risultato. Può accadere che questi processi epigenetici si deregolino, ad esempio che il genoma di una cellula si riprogrammi geneticamente alterando o perdendo quei marcatori epigenetici che fanno di quella cellula una cellula della pelle, dei muscoli, eccetera; se ciò accade quella cellula degenera e può innescare una patologia, nei casi estremi torna embrionale, neoplastica: si accende un tumore.
Si capisce dunque che gli studi che si interessano della produzione di cloni mirano a conoscere i dettagli dei processi differenziativi, soprattutto di quelli che portano ad accendere o a cancellare i marcatori epigenetici una volta che il nucleo differenziato è trasferito nella cellula uovo; nella speranza di conoscere meglio le basi molecolari delle malattie. La visione epigenetica della biologia dello sviluppo non solo contribuisce a svelare le basi molecolari delle malattie ma permette anche di chiarire aspetti di profonde asimmetrie nell’incidenza delle malattie nei diversi gruppi socioeconomici (Monti e Redi, «la Lettura», 5 dicembre 2017).
La clonazione riproduttiva è oggi impiegata in zootecnia per la riproduzione di animali di particolare interesse economico (animali transgenici produttori di molecole ad azione farmacologica) o per l’incremento numerico degli esemplari di animali in via di estinzione. La clonazione riproduttiva umana è bandita dalle legislazioni di tutti i Paesi. Ad oggi è la decisione più saggia stante l’attuale livello insoddisfacente della tecnica per quanto riguarda il numero di oociti che è necessario impiegare (centinaia e centinaia), per gli embrioni «persi» (la quasi totalità), per la scarsa salute del clone e per il fatto che si deve ricorrere a una pseudomadre (utero surrogato): Zhong Zhong e Hua Hua sono il frutto di più di 300 tentativi!
È evidente da queste premesse che per poter clonare un individuo sarebbe necessario un concorso di giovani donne disposte a vendere la propria salute per ottenere un grande quantitativo di oociti; quasi tutti gli embrioni ricostruiti morirebbero nelle prime fasi dello sviluppo; i pochi cloni capaci di raggiungere la nascita morirebbero poco dopo per la «sindrome degli organi dilatati» che colpisce i cloni.
Al fine di tranquillizzare i profeti del terribile «piano inclinato» e per dire un secco no alla clonazione riproduttiva umana basterà dunque ricordare, senza scomodare la teoria della complessità biologica, che il clone riesce sempre più stupido, più brutto e più malato... con rarissime eccezioni. Così da potersi concentrare sulla necessaria riflessione che l’ampia gamma delle questioni filosofiche, religiose, sociali e legali legate alla clonazione pongono a tutti noi. A questo riguardo è chiaro il ritardo della elaborazione filosofica sugli avanzamenti del sapere realizzati dalle scienze della vita nel nuovo millennio. Avanzamento del sapere e alfabetizzazione scientifica dei cittadini sono mete da perseguire insieme al fine di sviluppare una società democratica basata su giustizia ed equità: solo cittadini dotati degli strumenti concettuali per valutare criticamente le nuove frontiere del sapere scientifico possono garantire un sistema democratico, perché capaci di incidere sul corpo sociale con le proprie autonome opinioni su ciò che si ritiene lecito e ciò che non si desidera venga applicato.