Il Sole 24 Ore, 19 febbraio 2018
Sos figli contesi, una rete mondiale. In Italia 3.300 sottrazioni internazionali in 17 anni
Aumentano i bambini contesi tra l’Italia e l’estero: dal 2000 al 2017 sono stati 3.300 i minori “rapiti” da un genitore, ma sono quasi mille – circa il 30% – i casi concentrati negli ultimi quattro anni, quasi 250 all’anno. Nella maggioranza delle situazioni, circa il 60% nel 2017, si tratta di bambini portati – spesso con la scusa di una vacanza – fuori dall’Italia, mentre il restante 40% è rappresentato da minori che si trovano nel nostro Paese e sono reclamati dall’estero.
Sono queste le tendenze che emergono dalle statistiche sul fenomeno della «sottrazione internazionale di minori» diffuse dal dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del ministero della Giustizia.
Intanto, l’aumento che, secondo i dati, è avanzato a “balzi”. Fino al 2006, infatti, i figli contesi oltreconfine sono stati circa 150 all’anno. Nel 2007 il primo salto con stabilizzazione a circa 200 casi all’anno (tranne il picco di 238 nel 2008), fino al 2014, quando i casi registrati sono saliti a 250 all’anno.
Ma dove vanno i figli “rapiti” in Italia? Soprattutto in altri Paesi della Ue, con in testa in modo netto la Romania: sono stati 22 i minori trattenuti lo scorso anno da un genitore senza il consenso dell’altro e il bilancio è di 277 casi dal 2000. Una situazione che rispecchia la consistenza delle coppie internazionali in Italia: secondo la fotografia dei matrimoni scattata dall’Istat, delle 22.600 nozze celebrate nel 2016 con almeno un componente straniero, quasi 4.200 (oltre il 18%) coinvolgono coniugi rumeni. Mentre le richieste dall’estero per reclamare bimbi in Italia nel 2017 sono arrivate perlopiù da Germania (11), Russia (9) e Francia (8).
A essere monitorate sono le istanze – presentate al ministero della Giustizia – per applicare la Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 (si veda il servizio a fianco). La Convenzione ha stabilito una procedura da seguire nei casi di sottrazione internazionale di minori. Si tratta di un percorso aperto quando i Paesi coinvolti hanno entrambi aderito alla Convenzione (a oggi sono 98). Il sistema dà un ruolo chiave alle «autorità centrali» dei Paesi aderenti, incaricate di agevolare il ritorno del minore, su richiesta del genitore che lamenta la sottrazione. In Italia l’autorità centrale è istituita presso il ministero della Giustizia: di qui passano sia le procedure «attive» (con alla base istanze per far rientrare in Italia i figli portati all’estero), sia quelle «passive» (che arrivano dall’estero per reclamare bambini che si trovano in Italia).
La procedura delineata dalla Convenzione dell’Aja non dà risultati automatici. L’ordine di ritorno – di competenza dell’autorità giudiziaria del Paese in cui il minore si trova – può essere emesso solo se ricorrono determinate condizioni: tra l’altro, si deve trattare di bambini o ragazzi con non più di 16 anni e la sottrazione deve essere avvenuta senza il consenso dell’altro genitore.
Inoltre, è più facile ottenere il ritorno se non è ancora trascorso un anno dalla sottrazione: oltre questo termine, occorre prima valutare se il bambino si è integrato nel nuovo ambiente. E – va detto – i genitori che decidono di portare via il figlio sono spesso ben preparati a costruire le “prove” del radicamento (ad esempio, con l’iscrizione a scuola). Eppure, spiega Maria Letizia Sassi, avvocato a Roma specializzata in diritto penale della famiglia, «sono molti i genitori che attivano l’autorità centrale dopo l’anno». Le ragioni? «Da un lato – spiega – le possibilità offerte dalla Convenzione dell’Aja non sono molto conosciute. Dall’altro, spesso i genitori preferiscono percorrere altre strade, a partire dalla denuncia penale: è probabile che scatti il desiderio di vedere “punito” l’ex che ha portato via il figlio». Questo benché, prosegue Sassi, «le indagini e l’eventuale processo penale abbiano tempi decisamente più lunghi rispetto ai percorsi civilistici».
La via più rapida è proprio quella offerta dalla Convenzione dell’Aja, che prevede che la procedura si chiuda entro sei settimane. Un termine che «spesso viene sforato – dice Sassi – ma il procedimento resta comunque snello». Il sistema è anche economico: l’intervento dell’autorità è gratuito e a carico dei genitori restano le spese per l’assistenza legale. L’istanza di rimpatrio può inoltre essere proposta al tribunale ordinario con il ricorso per ottenere l’affido del figlio, ma così «i tempi si allungano – dice Sassi – perché è raro che il giudice decida già nell’udienza presidenziale: in genere si riserva di approfondire la questione».
E se un bambino residente in Italia viene portato in un Paese che non aderisce alla Convenzione dell’Aja? In questo caso non si può passare per l’autorità centrale, ma è possibile chiedere l’intervento del ministero degli Esteri o del commissario straordinario del Governo per le persone scomparse, se non si sa dove si trovi il figlio.