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 2018  febbraio 18 Domenica calendario

Rossini, l’incontro delle civiltà

«Stupendo è lo spettacolo d’un popolo festivamente commosso a celebrare le natalizie ricorrenze d’un illustre concittadino», recita il «Discorso inaugurale detto in Pesaro in onore di Gioachino Rossini la sera del 29 febbraio 1864», settantaduesimo anniversario della sua nascita.
Quasi ci siamo. Rossini (1792-1868) è nato in un anno bisestile, ma che importa? A Pesaro, tutto lo stupendo popolo dell’opera è festivamente pronto a celebrarlo comunque, e in grande. Dal 23 febbraio al 4 marzo, si snoda un fitto cartellone di eventi in suo onore. Il «Rossini Opera Festival», guidato da Ernesto Palacio e con l’Orchestra Sinfonica Nazionale Rai protagonista, quest’estate avrà un taglio speciale, per la ricorrenza del 2018, i 150 anni dalla scomparsa del compositore. Tra le sue gemme segna, infatti, il ritorno di una rarità di prezioso lirismo, Ricciardo e Zoraide, opera «giovanile» composta da Rossini per il San Carlo di Napoli giusto 200 anni fa, nel 1818. Un titolo storico del «Rof», presentato per la prima volta in epoca moderna nel 1990, con la regia di Luca Ronconi e Riccardo Chailly sul podio. Dall’11 al 23 agosto la vedremo in una nuova produzione, diretta da Giacomo Sagripanti, protagonista il tenore Juan Diego Flórez, regia del canadese Marshall Pynkoski (a contorno: Adina, Il barbiere di Siviglia, la Petite messe solennelle e Il viaggio a Reims ). 
La vicenda della bella Zoraide, rapita dal re di Nubia Agorante e reclamata dal paladino Ricciardo, tra rocamboleschi travestimenti e colpi di scena, offre grande varietà di spunti. «L’opera ha pagine di notevole interesse musicale. E di notevole difficoltà. – spiega a “la Lettura” il maestro Sagripanti —. I suoi sedici recitativi accompagnati dall’orchestra obbligano a rendere la vicenda in modo molto fluido. La sovrabbondanza di momenti lirici richiede qui una continuità tra arie e recitativi intercalati dai cori. Il momento lirico deve arrivare come dopo un’attesa. Se la dinamicità dei recitativi è ben costruita, arie e duetti diventano godimento ideale, pura astrazione». 
«Amo molto l’inventiva e la ricchezza della musica di Rossini – interviene Pynkoski —. Conduce l’ascoltatore attraverso un’infinita varietà di emozioni: allegria, pathos, amore. E splendidi effetti teatrali. Sono entusiasta del cast scelto da Ernesto Palacio e dal suo staff; anche la mia coreografa, Jeannette Lajeunesse Zingg, è felice che i danzatori vengano selezionati, per suo conto, da Lara Montanaro, finissima assistente al nostro debutto alla Scala nel 2015».
Ma visivamente? La regia di Ronconi del ’90 faceva affiorare paladini e africani da immobili dune di sabbia; quale Oriente vedremo sulle scene pesaresi? «La prima edizione di Ricciardo e Zoraide del 1818 – continua Pynkoski – fu influenzata da ciò che gli scenografi del tempo conoscevano dell’arte e all’architettura islamica. La nuova produzione segue un percorso simile. Lo scenografo, Gerard Gauci, è un profondo conoscitore della figurazione islamica. Punto di “decollo” della nostra messinscena sono stati i modelli, i colori e le forme calligrafiche dell’esposizione da lui progettata per l’Aga Khan Museum di Toronto, “Arti dall’Oriente”. Detto questo: non cerchiamo di ricreare il mondo islamico in sé e per sé, lo presentiamo nel contesto delle convenzioni teatrali dell’opera e del balletto del XIX secolo: i costumi ricorderanno, ad esempio, le silhouette. Facendo riferimento al passato, tuttavia, ci mettiamo alla prova su nuove strade, come artisti del XXI secolo. Avremo enormi trompe l’oeil, pensati per deliziare la vista e insieme giocare con il senso dello spettatore per le dimensioni e per la prospettiva». 
Paladini «contro» africani: assisteremo a un conflitto di culture? «No, il dramma focalizza piuttosto una lotta di potere all’interno di un sistema di rapporti personali. Eccetto l’episodio in cui Agorante ricorda che gli è permesso avere più di una moglie, i sentimenti dei protagonisti, siano essi cristiani o musulmani, sono spiccatamente similari. Semmai, i personaggi cristiani mostrano maggiore doppiezza, ricorrendo a bugie, travestimenti e sotterfugi, mentre i musulmani sono più empatici ed estremamente schietti riguardo a sentimenti e progetti. Il conflitto di culture è qui assai meno palese che nel Ratto dal serraglio di Mozart. La danza, invece, avrà un ruolo significativo e si inserirà in molti passaggi corali e orchestrali, interagendo con i cantanti». Ci sarà, come prescrive il libretto, la «banda in scena»? «Credo che non avremo posto: con 48 coristi, una dozzina di danzatori e tutti i solisti, il palcoscenico sarà pieno di figure. E di azione!».