Corriere della Sera, 18 febbraio 2018
Piante & fiori. Il record dell’Italia
Siamo primi in Europa alla voce biodiversità. Secondi solo alla Turchia tra i paesi affacciati sul Mediterraneo. Con oltre ottomila specie (8.195 per l’esattezza), la flora del Bel Paese è un patrimonio inestimabile. Ma molte sono le specie a rischio di estinzione. A cominciare dagli alberi ad alto fusto, come il Pino loricato, che dal punto di vista evolutivo è considerato un «fossile vivente»: si trova solo sui costoni rocciosi del Parco Nazionale del Pollino. O l’Abete dei Nebrodi, che fino al Settecento ricopriva con fitte foreste le montagne siciliane e oggi è confinato sulle Madonie. Nel novero delle specie da tutelare ci sono arbusti e piante a fiore rarissime, «endemici», presenti solo in un luogo al mondo. È il caso dello «Sparviere», che cresce sui muri del Castello Sforzesco, a Milano, o della Bassia saxicola che si trova a Strombolicchio, nelle Eolie.
L’inventario delle piante autoctone d’Italia è stata pubblicato sulla rivista internazionale Plan Biosystems. Ed è il risultato di un lavoro durato 15 anni e soprattutto corale (51 i botanici in campo), coordinato dal Centro Ricerche Floristiche dell’Appennino, dalle Università di Camerino e Pisa e da Gabriele Galasso, l’esperto del Museo di Storia Naturale che compie quest’anno 180 anni di vita. In attesa di completare anche la radiografia delle specie aliene, che come l’infestante robinia o l’acacia in pochi decenni si sono diffuse togliendo talvolta spazio alle piante nostrane, i botanici hanno esplorato il territorio palmo a palmo cercando i superstiti di specie censite in passato. Racconta Galasso che «700 mancano ancora all’appello e purtroppo almeno 26 dobbiamo dichiararle ormai estinte. Di esse rimane traccia solo negli antichi erbari».
Hanno nomi antichi queste piante spontanee che un tempo abitavano le nostre regioni: nell’elenco si trovano per esempio l’ Aldrovanda vesiculosa, la Carlina acanthifolia, la Puccinella gussonei, il Sanchus palustris e, poi, almeno cinque specie di ranuncolo.
«L’inventario è uno strumento fondamentale per la conoscenza e la tutela della biodiversità», aggiunge Galasso. «Di queste specie censite – continua – 1.700 piante sono presenti solo nel nostro Paese. Il nostro patrimonio vegetale è una ricchezza che dobbiamo preservare». C’è anche una graduatoria tra le regioni che vede il Piemonte al primo posto, seguito da Toscana e Lombardia, la cui pianura un tempo ospitava sconfinati querceti. Oggi gli esemplari di farnia, Quercus robur L., detta comunemente quercia, si contano sulle dita di una mano. A differenza di alberi che in altre località del Paese hanno ridotto il loro areale a causa dei cambiamenti climatici, la farnia è vittima dell’uomo. «Mentre l’Abete dei Nebrodi o il Pino Loricato sono residui delle glaciazioni, erano cioè piante diffuse su vasta scala ma sono rimaste soltanto dove hanno avuto la possibilità di adattarsi ai mutamenti climatici – spiega Silvestro Acampora, arboricultore in forza al settore Verde del Comune di Milano —, la farnia, la pianta simbolo della Pianura Padana, ha caratteristiche tecnologiche che la resero eccellente per le costruzioni, dalle navi alle botti. Dalla corteccia della quercia, che nell’antichità era l’albero caro a Giove, si ricavava anche il tannino per colorare e per conciare i pellami». Il bosco planiziale della pianura ricco di farnie fu anche sacrificato all’agricoltura. Infine, alle grandi e possenti querce si preferì l’alieno gelso importato dalla Cina insieme ai bachi da seta. Proprio come l’Alianto che, però, è diventato un flagello.