Corriere della Sera, 18 febbraio 2018
L’esercito nelle strade di Rio
RIO DE JANEIRO Quando un generale prende il posto di un governatore, per quanto incapace quest’ultimo, non è buon segno. Ancor meno in un Paese come il Brasile, dove i militari li hanno avuti al potere per 21 anni filati nel secolo scorso, più tempo che ovunque in America Latina. Ha generato una ondata di dubbi l’ultima misura per cercare una soluzione alla violenza endemica a Rio de Janeiro.
Si chiama «intervento federale», ed è pienamente costituzionale: il Brasile è un insieme di Stati con ampia autonomia, ma in casi eccezionali il governo centrale può decidere di appropriarsi di funzioni che normalmente non gli competono. Per un periodo limitato. È il caso dell’ordine pubblico. A Rio è indubbiamente fuori controllo e una serie di episodi nel Carnevale, non foss’altro per la visibilità del momento dentro e fuori il Brasile, hanno fatto traboccare il proverbiale vaso.
Il generale si chiama Walter Braga Netto ed è stato spedito dal presidente Michel Temer a Rio, togliendo buona parte dei poteri all’attuale governatore Luiz Fernando Pezão. Il quale ha ammesso l’incapacità di farcela da solo. A Rio, dopo la tregua Mondiali-Olimpiadi, è riesplosa la criminalità, sia piccola sia organizzata. I boss del narcotraffico hanno ripreso il controllo di molte favelas (per anni presentate al mondo come «liberate»), infiltrando le polizie e il potere politico come nei tempi peggiori. Milizie di paramilitari esercitano il controllo di comunità come alternativa ai narcos. Non c’è sicurezza sulle strade e nelle grandi arterie urbane, si svaligiano camion, si assaltano autobus. Nelle periferie muoiono innocenti, compresi molti bambini, per le famigerate balas perdidas, le pallottole vaganti; e vengono giustiziati a freddo poliziotti di ronda.
Come sempre la lente mediatica è più attenta ai luoghi simbolici: la vecchietta scippata a Ipanema viene ripresa dalle telecamere a circuito chiuso, le orde di ragazzini che ripuliscono i bagnanti in spiaggia filmati dai telefonini dai palazzi di lusso. Il «fuori controllo» significa anche problemi meno gravi ma altrettanto impattanti, come la moltiplicazione di coloro che usano le strade e le spiagge per dormire, o i vagoni del metrò per orinare.
I militari già si vedono ogni tanto per le strade di Rio, e in passato hanno affiancato la polizia locale nell’assedio alle favelas off-limits. Ma stavolta è diverso. Il generale Braga assume il controllo totale della polizia militare (i nostri carabinieri) e di quella civile, dei pompieri e dei penitenziari, da dove spesso i boss governano i loro sottoposti. E risponderà personalmente al presidente Temer. Progetti concreti? Al momento non è dato sapere, la prima conferenza stampa del militare non ha offerto dettagli. Non si è parlato né di leggi speciali né di modifiche sostanziali nella strategia.
Le critiche alla decisione di Temer sono arrivate sia dalla sinistra – che già lo considera un «golpista» illegittimo dai tempi dell’impeachment di Dilma Rousseff – ma anche da settori conservatori, come il quotidiano Estado de São Paolo, il quale parla di misura sproporzionata e palliativa. «Non esistono casi in cui le azioni dell’esercito abbiano avuto successo duraturo», scrive. Perché allora? Il sospetto è che Temer voglia giocarsi con una virata a destra le residue speranze di concorrere alla rielezione nelle presidenziali del prossimo ottobre, pur se la sua popolarità al momento è risibile.
La crisi economica e le inchieste giudiziarie hanno lasciato in Brasile una diffusa rabbia giustizialista che sta favorendo figure oscure come Jair Bolsonaro: un ex militare, pre-candidato con il 15-20% dei consensi e che rimpiange i torturatori della dittatura. La sinistra è a pezzi dopo la condanna di Lula, e la sua possibile imminente carcerazione. Se anche Temer non dovesse riuscire a concorrere, è tutto il suo schieramento, del quale fa parte anche il governatore di Rio, a cercare un futuro che non sia quello delle aule di un tribunale. Un buon generale al proprio fianco, come ai vecchi tempi, può sempre servire.