Corriere della Sera, 18 febbraio 2018
Parigi e Berlino accelerano sulla difesa. «Una forza rapida e strategie per la Ue»
MONACO «Se l’Europa non si interessa alla guerra, questa non mancherà di interessarsi all’Europa». Cita Lev Trotsky, il primo ministro francese Edouard Philippe. Il tema della difesa europea è al centro della Conferenza sulla Sicurezza e l’inviato di Emmanuel Macron declina anche qui il nuovo protagonismo della Francia. Discuterne non è più sufficiente. Parigi chiede ai principali alleati un «impegno operativo» con obiettivi e scadenze precise: entro l’inizio del prossimo decennio, «l’Europa dovrà disporre di una forza d’intervento, un bilancio per la difesa e una dottrina strategica».
La necessità di difendere gli interessi comuni trova eco anche nelle parole del ministro degli Esteri tedesco, Siegmar Gabriel: «Non possiamo essere gli unici vegetariani in un mondo di carnivori», dice il capo dell’Auswärtigesamt, che sottolinea il bisogno dell’Unione Europea di avere una «propria proiezione di potere nel mondo». Lo impongono «i sommovimenti in atto nell’ordine internazionale», spesso con «conseguenze imprevedibili».
Sia Gabriel che Philippe sono molto attenti a non definire gli interessi dell’Europa in opposizione a quelli degli Stati Uniti. «Né la Ue, né gli Usa possono agire da soli», dice il ministro tedesco, che tuttavia rimprovera all’America di Trump il suo isolazionismo: «Quando guardiamo oltre l’Atlantico non riconosciamo più la nostra America».
Quanto il tema resti controverso, lo conferma il premier polacco Mateusz Morawiecki, che punta tutto sul ruolo della Nato, accusando i partner europei di non spendere abbastanza per la difesa. La Polonia è uno dei 5 Paesi membri dell’Alleanza che già oggi dedica il 2% del Pil alle spese militari. Non si può parlare di difesa europea se non si rispettano gli impegni, dice Morawiecki. Una frecciata chiaramente diretta a Gabriel, che pochi minuti prima ha espresso qualche riserva sul fatto che la Germania in futuro potrà spendere 70 miliardi di euro l’anno per la difesa, senza suscitare timori e sospetti in ragione della sua Storia.
Che la difesa europea sia ormai tema centrale, lo dimostra anche l’intervento di Theresa May, forse il più apprezzato del premier britannico da lungo tempo. May propone un nuovo trattato per la sicurezza con l’Unione Europea, a partire dal prossimo anno, quando il Regno Unito lascerà il club dei 27. La premier conservatrice promette che Londra continuerà a guidare missioni militari e a condividere le informazioni, se Bruxelles accetta l’idea di un’intesa «pragmatica e pratica mirata a garantire la nostra sicurezza collettiva».
Le risponde il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, che accoglie molto positivamente l’offerta di «un’alleanza per la sicurezza», ma aggiunge che il tema deve rimanere separato dal resto della trattativa sulla Brexit. Bruxelles teme infatti che Londra voglia usare il tema come chip negoziale per strappare concessioni sul mercato interno: «Politica commerciale e politica di sicurezza non possono stare nello stesso contenitore», dice Juncker.
Fra gli oratori della mattinata, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov e il consigliere di Donald Trump per la Sicurezza nazionale, H.R. McMaster. Al primo, che aveva definito «fantasie prive di fondamento» l’accusa a 13 personalità russe di aver complottato per alterare il risultato delle elezioni americane, McMaster ribatte che le «prove di un coinvolgimento della Russia sono ormai incontrovertibili e disponibili al pubblico». È la prima volta che la Casa Bianca fa proprie le argomentazioni del Fbi sul Russiagate.
Come ai tempi della Guerra Fredda, quando la Conferenza di Monaco si chiamava ancora Wehrrunde, lo scambio di accuse tra Mosca e Washington prosegue anche sulle armi nucleari. L’ex ambasciatore a Washington, Sergei Kislyak, critica la nuova dottrina degli USA, che punta su ordigni nucleari a bassa carica e quindi considera l’atomica «più come un’arma da impiegare in guerra che come un deterrente».