Corriere della Sera, 17 febbraio 2018
Il volo dei grifoni sulle cime dei Nebrodi
Il mare è un cheto, sottile lenzuolo dal quale spuntano, in lontananza, le isole Eolie. Quando ci si trova Salina proprio di fronte, virando verso l’interno della Sicilia, il paesaggio diventa nervoso. I tornanti improvvisamente sembrano chicane da circuito di Formula Uno.
I paesi di origine ellenica stanno nascosti dietro speroni di roccia, profumano di arancio, lo stesso colore del marmo cavato dal ventre delle loro montagne. Poi appaiono i Monti Nebrodi bianchi di neve, rivestiti sulle dorsali più basse di faggi e querce, coi loro irsuti promontori. Dentro, si celano grotte nelle quali pregavano i monaci basiliani.
Alcara Li Fusi è il più ancestrale, pastorale di tutti questi luoghi. Lo riconosci dai grifoni, che lasciano le voliere dove sono stati allocati affinché si riproducano e disegnano di continuo volute sul suo abitato. In un tempo, nemmeno troppo lontano, come dice il suo nome, questo era il borgo dei tappeti, soprattutto di lana e lino, che venivano confezionati nei laboratori familiari.
Adesso i figli dei tessitori sono entrati nel Corpo Forestale dello Stato e si dedicano alla preservazione del Bosco dei Mangalaviti, alla cura dei Laghi Biviere e Maulazzo, alla manutenzione della Grotta del Lauro e del corso del fiume Rosmarino. I maschi si chiamano Nicolò in onore di Politi, il santo patrono, hanno un fiuto eccezionale per i funghi, mentre le donne sono creative: tutti insieme hanno una passione infinita per il canto e la musica, che addolcisce la nostalgia invernale per i bagni di mare e accorcia la distanza culturale da Palermo.
«Il nostro sogno è quello di riportare in vita i mestieri artigianali antichi – racconta Carmelina Faraci, assessore al Turismo e stilista di abiti assai eleganti che, indossati dalle giovani di Alcara, hanno sfilato anche a Catania e Ortigia —, tanto è vero che adesso stanno riaprendo laboratori di filatura in cui vengono utilizzate le pizzare, ovvero sottili strisce di stoffa che si immettono nella trama componendo variegate figure geometriche, mentre le fornerie del borgo producono i pani di una volta. Vogliamo incentivare anche il trekking lungo le vie sacre». Conosciuto in tutta l’isola per la Festa del Muzzuni, un rito pagano di celebrazione della fertilità che si svolge il 24 giugno ed è iscritto nel registro delle eredità immateriali della Sicilia, Alcara Li Fusi era molto amato dallo scrittore Vincenzo Consolo che così descrisse il giorno più atteso dell’anno dagli alcaresi: «Festeggiare soleano nei quartieri quelle piccole brocche e i germogli, con canti e danze, fino a notte alta. Si scioglievano allor le inimicizie, si intrecciavano gli amori, i comparaggi».
Il legame con la natura circostante è fortissimo. Lo spiega bene Pippo Dottore: «Io lavoro per il Corpo Forestale, nel tempo libero cucino. Vorrei tanto aprire una trattoria per far assaggiare i piatti tipici del territorio, le carni del maialino nero, le nostre verdure, le erbe che si raccolgono sino alle pendici del monte Soro, il più alto dell’isola dopo l’Etna. Speriamo tanto nei progetti di valorizzazione legati al Parco dei Nebrodi, come l’introduzione dei grifoni, gli spazzini alati del territorio». Passeggiando lungo il reticolato arabo a raggiera di Alcara Li Fusi, ci si imbatte nel mulino ad acqua ottocentesco tra i fichi d’India, nella fontana Abate coi lavatoi ancora utilizzati, si sale poi al minuto, panoramico Castel Turio. E soprattutto si ode sempre qualcuno cantare.
«Siamo sessanta noi ragazzi impegnati nelle bande – spiega Alex Faraci —, io suono il sassofono, le note percorrono questi vicoli robuste e armoniose». «Io invece canto – dice Serena Costanzo —, è una tradizione che ci tramandiamo di generazione in generazione». La prossima sarà quella dei bambini delle scuole elementari.
«I piccoli sognano di fare i marescialli dei carabinieri – rivela la loro maestra Angela Calcò —, sono sereni, giocano con gli animali». Magari alcuni di essi saranno pastori, come Antonino Sacconi, che alleva pecore in grande salute tra i monoliti della contrada belvedere chiamata Stella.
Per abbracciare con lo sguardo questo paese a forma di alveare bisogna soggiornare invece all’Agriturismo Sidoti: «L’abbiamo aperto – dice, tra i limoni, la titolare Lina Faraci – perché vorremmo che tutti venissero a condividere questa natura fiera e maestosa». Ha dunque ragione lo studente Alex Pio Collica quando chiosa: «Queste rocce chiamano, non si può resistere, tendete l’orecchio e seguite musica, aquile e grifoni».