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 2018  febbraio 17 Sabato calendario

Turchia, ergastolo allo scrittore Ahmet Altan

Un anno fa, a La Stampa, dalla prigione dove era recluso, aveva detto «non so che ne sarà di me». E ieri la magistratura turca ha deciso che le porte del carcere per Ahmet Altan e altri cinque giornalisti, fra cui suo fratello, Mehmet, devono rimanere chiuse per sempre. Il tribunale di Istanbul ha riconosciuto i sei reporter colpevoli di aver cercato di sovvertire l’ordine costituzionale e di essere membri di Feto, il network di Fethullah Gülen, ex imam in autoesilio negli Usa, un tempo alleato di Erdogan e oggi considerato il nemico numero uno da buona parte del Paese, il mandante del golpe del luglio 2016 a cui è seguita la caccia alle streghe del presidente della Repubblica.
I fratelli Altan sono figli di Cetin Altan, uno dei maggiori intellettuali turchi e adesso molti pensano che la stessa sorte possa toccare agli altri 140 giornalisti che si trovano in carcere con accuse gravi come adesione a organizzazione terroristica e golpismo. Ahmet, in particolare, era noto nel Paese per le sue posizioni controcorrente. Fortemente critico nei confronti degli apparati ultralaici prima, prudente all’inizio e – in seguito alla sua virata autoritaria – grande oppositore di Recep Tayyip Erdogan dal 2009 aveva diretto il quotidiano Taraf, da cui spesso aveva attaccato le forze armate per le loro posizioni anti curde.
La giornata ieri si era aperta con un filo di speranza, alla notizia della liberazione, dopo un anno di carcere, del giornalista turco-tedesco Deniz Yücel resa possibile, però, dalle grandi pressioni portate avanti da Berlino per mesi. Lo stesso ministro degli Esteri di Ankara, Mevlut Cavusoglu, ha fatto intendere sulla decisione dei giudici possono avere influito considerazioni politiche. La Germania, dal canto suo, nelle scorse settimane aveva annunciato un «cambio di rotta» nei confronti di Ankara, nonostante gli oltre tre milioni di immigrati turchi che vivono sul suo territorio nazionale.
In Turchia ci sono ancora 51mila persone dietro le sbarre, fra cui migliaia di magistrati, militari e docenti universitari, nonché 13 deputati dell’Hdp, il partito curdo, dietro le sbarre non per legami con Gülen, ma con il Pkk. A queste vanno aggiunte le 134mila persone che hanno perso il posto di lavoro in seguito al contro-golpe del presidente. Le persone che hanno lasciato il Paese si contano a centinaia.
Di fatto, Recep Tayyip Erdogan tiene in scacco un Paese intero, lo stesso che il 16 aprile dell’anno scorso gli ha consegnato un potere pressoché illimitato approvando una riforma della costituzione in senso presidenzialista. Un potere enorme, ma che non basta al presidente della Repubblica, che sta cercando di consolidare il suo primato mettendo a tacere tutti i potenziali oppositori, a partire dai più pericolosi, come giornalisti autorevoli del calibro di Altan e di dare vita a un Paese nuovo, con un’identità nazionale sempre più improntata alla matrice turca e al conservatorismo religioso, aggressivo in politica estera e sempre meno in sintonia con l’Occidente.