La Stampa, 17 febbraio 2018
Il voto visto dal Frecciarossa a 290 km all’ora. A bordo tra lavoratori e professionisti
Chiudere gli occhi come in un sogno. E concentrarsi sulle frasi che si possono ascoltare a bordo della carrozza 11 del Frecciarossa 9620, che risale l’Italia a metà del pomeriggio. «Se c’è budget, allora riusciamo a recuperare». «Facciamo pressing». «Esatto esatto esatto». «Fai due righe riassuntive». «Portatori di premialità…». «Sì, laddove ci sono le risorse». «Sai qual è la verità? Aspettano a fare qualunque mossa. È brutto da dire, ma sono dei bastardi. Non le affidano la responsabilità dell’area perché hanno paura che fra qualche mese vada in maternità». Conversazioni telefoniche ad alta voce. Messaggi pubblicitari: «Con la carta itinere e le Frecce…». Il capotreno sta parlando al telefono con la polizia: «Segnalo che a Bologna ho fatto scendere un abusivo, è un ragazzo con il cappello da baseball rosso, era sprovvisto di biglietto». Sfilano i capannoni dell’Emilia Romagna, salumifici, strade, pianura. Prossima fermata, Milano Centrale.
«Questo è un pezzo d’Italia che funziona abbastanza bene, tutto sommato», dice la signora Bianca Placella, un’insegnante di Scienze. È partita da Napoli, dove abita al Vomero, nello stesso quartiere del sindaco De Magistris. E dove non ci sono più pullman per andare direttamente alla stazione. «È il trasporto locale il vero problema. I mezzi pubblici dentro la città, i piccoli treni regionali. Qui si capisce che siamo su una tratta privilegiata». Sta andando alcuni giorni in vacanza, ma non ha un’idea dolce di questo febbraio 2018. «È una campagna elettorale tremenda. Nessuno parla dei problemi concreti della gente. Non c’è alcun dibattito su come migliorare la vita quotidiana delle persone. E non c’è un solo partito degno di questo nome, un partito con la p maiuscola. Stanno facendo solo promesse sempre più grandi e irrealizzabili, nel tentativo di scavallare quelle degli altri. Io lo so, perché ne parlo spesso con i colleghi e i miei allievi a scuola, ormai nessuno pensa che il voto cambierà qualcosa nelle nostre vite. Questa è la sconfitta totale della politica».
Il passante
Il treno va. Si fionda dentro le gallerie del passante. Taglia le montagne. Sbuca ancora nella luce del sole. «Stiamo viaggiando alla velocità di 290 chilometri all’ora», informa il monitor piazzato in alto. Napoli, Roma, Firenze, Bologna, Milano, Torino. Se provate a chiedere informazioni sul numero di viaggiatori e su quante corse ogni anno uniscano l’Italia in queste sei ore di viaggio, il responsabile dell’ufficio stampa delle Ferrovie, Stefano Biserni, vi risponderà così: «Non forniamo questo dato. Avete voluto la concorrenza? Non rilasciamo informazioni che potrebbero avvantaggiare Italo». Bisogna accontentarsi di dati molto generali: 179 Frecce viaggiano in Italia, di cui 50 Frecciarossa 1000, le più moderne. I clienti di Trenitalia, su tutti i tipi di treno, sono oltre 15 milioni al giorno.
Sul Frecciarossa 9608 Roma-Milano viaggiava, qualche giorno fa, anche quel ragazzo nero fotografato da un altro passeggero, che vedendolo in difficoltà nel mostrare il biglietto ha immediatamente postato su Facebook una gigantesca bufala razzista da 120 mila like: «Il signore in foto, di cui non mi interessa nascondere la fisionomia, si è seduto accanto a me senza alcun bagaglio, in mano solo il telefono…». Non era vero. Quel ragazzo aveva soltanto sbagliato posto a sedere. E aveva eccome il biglietto. E questa storia dimostra, forse, come il Frecciarossa sia ritenuto da qualcuno ancora un treno per pochi eletti, una specie di mondo a parte. Ma non è così.
Sono undici i comitati dei pendolari dell’Alta Velocità. Per molti viaggiatori questo è il mezzo di trasporto quotidiano, avanti e indietro, casa, ufficio, casa. Come un tram. Sono proprio loro ad incontrare maggiori difficoltà. «L’obbligo di prenotazione è un vero problema» spiega Cesare Ugona, che lavora in una grande compagnia di assicurazioni. Torino-Milano-Torino è il suo viaggio. «Alla mattina è possibile programmare l’orario, ma il ritorno è più incerto, dipende dalla giornata di lavoro. L’obbligo di prenotazione significa che spesso ci ritroviamo a bordo di un treno sbagliato, senza avere il posto a sedere, rischiando una multa di 10 euro. Il problema in Italia è da un lato questo tipo di rigidità che si ritorce sempre contro i consumatori. Dall’altro l’indeterminatezza dei tempi. Ogni mattina alle 6,49 il mio treno, il Freccia Rossa 9707, accumula da 5 a 10 minuti di ritardo. Che moltiplicati per cinque giorni alla settimana, per 11 mesi all’anno… Mi aspetto ben poco da queste elezioni. Ben poco».
L’abbonamento
Un abbonamento mensile sul Frecciarossa con possibilità di viaggiare dal lunedì al venerdì costa 374 euro. Mentre la formula di venti viaggi venduta da Italo costa 99 euro. «Ma Italo ha poche tratte e poche stazioni», dice Cesare Ugona. «Sono penalizzati perché viaggiano sull’infrastruttura della concorrenza. Di questo dovrebbero occuparsi. In Italia servirebbe una vera politica di liberalizzazioni».
Tre tipi di vagone, tre classi: standard, executive, business. Il vecchio vagone ristorante ora si chiama FrecciaBistrò. Dietro al bancone, un cameriere smilzo e timido, che forse per senso del dovere risponde così: «Vengo a lavorare e basta, non mi interessa il resto, sono apolitico». Come se parlare del voto fosse quasi un argomento scabroso.
«Sul Frecciarossa ho trovato un’altra famiglia» dice il viaggiatore pendolare Leonardo Pellegrini, 46 anni, ingegnere. «Alla fine, diventi amico dei tuoi compagni di treno. E sempre viaggiando mi sono fatto l’idea che siano tre le priorità per l’Italia. Una mobilità più sostenibile, quindi una politica per la tutela ambientale. Penso a dei provvedimenti seri per contrastare l’inquinamento atmosferico. E poi il turismo: in Italia potremmo vivere e molto bene soltanto di turismo». Ma chi si fa carico, gli chiediamo, dei suoi sogni per il futuro? «Nessuno», risponde. «Proprio nessuno. Questo è il problema. Sono temi completamente fuori dalla campagna elettorale. Ecco perché non ho la più pallida idea su dove andare a mettere quella maledetta crocetta».