La Stampa, 17 febbraio 2018
Intercity, di notte sul Reggio Calabria-Torino
L’odissea dell’intercity notte 35094 inizia alla stazione centrale di Reggio Calabria alle 21,35. Sui binari decine di persone aspettano il treno che, dopo 33 fermate e 19 ore, raggiungerà Torino. Sono studenti e anziani che «salgono al Nord» per una visita medica o per trovare i figli emigrati, accompagnati da scatoloni di cibo. Un microuniverso di «forzati», che solca tutta l’Italia per risparmiare: molti evitano la cuccetta e si accontentano dei posti a sedere. Sono il simbolo dell’Italia a due velocità e in comune hanno l’apatia per la politica. La sfiducia nello Stato, specie tra i giovani, è generalizzata. Il taxista 25enne che ci porta alla stazione storce il naso quando proviamo a pagare con il bancomat: «Così mi rubano due euro di commissione. È sempre la solita storia: paghiamo il pizzo allo Stato che continua a bastonarci».
La tratta
Ogni giorno l’intercity macina 1400 chilometri. Tagliando il Paese trasporta ogni settimana 80 mila passeggeri. È la stessa tratta che percorreranno, all’inverso, studenti fuori sede e residenti al Sud per raggiungere il loro seggio. Tra loro non ci saranno Ilaria, 24 anni, e Anna, 22, di Catanzaro. Hanno già deciso: non voteranno. «La politica è su un altro pianeta rispetto ai nostri problemi», dice la prima, laureata in infermieristica. L’altra, un diploma all’Accademia di belle arti, indica fuori dal finestrino: «I politici sono come quel treno: corrono paralleli a noi, ma non ci incroceremo mai». Come ragazze del Sud, dicono, si sentono abbandonate. E con una sola alternativa: cercare fortuna altrove. «Dei miei compagni delle superiori – dice Ilaria – solo quattro su 28 sono rimasti in Calabria. Gli altri sono al Nord o all’estero».
Sono fuggiti anche i figli di Francesco e Maria Luisa, coppia di pensionati di Gallico (Reggio Calabria). Lui si dichiara «elettore di centrodestra da sempre, ma stavolta sono tentato da Salvini. Mi piacciono i suoi discorsi, soprattutto quando attacca l’immigrazione. Ormai ci hanno invasi». La moglie annuisce, ma solleva un dubbio: «Molti dicono che si interesserebbe dell’Italia solo fino a Salerno». «Al massimo fino a Ferrara», sorride un giovane che mostra sullo smartphone una vignetta satirica con la scritta «Lega Salvini e lascialo legato», e annuncia che voterà scheda bianca. Il discorso vira su Minniti: «Un buon ministro ma ci ha delusi – continua Francesco -. Qui a Reggio non si è più fatto vedere». E non lo sorprende la scelta di non candidarsi nella sua città, dove è stato sconfitto nel ‘96 e nel 2001: «Sapeva che avrebbe perso». La moglie torna a incalzare sull’immigrazione: «Ci sono troppi stranieri. Non ci si può sorprendere che la gente si faccia giustizia da sola». Come a Macerata? «Sì. Quel ragazzo era esasperato. Posso capirlo».
La replica arriva, qualche carrozza più in là, all’altezza di Rosarno. «L’invasione di stranieri? Tutte fake news», sentenzia Antonino, 47 anni. «Il mio paesino, San Lorenzo, è stato salvato dagli immigrati: senza di loro non ci sarebbero badanti, l’unica risorsa per l’assistenza dei nostri anziani». Ma la sua è una voce fuori dal coro. Dice che voterà Pd, come sempre, stavolta turandosi il naso: «Non mi piace la svolta autoritaria imposta da Renzi».
Il mattino dopo, nei pressi di Firenze, il 58enne Filippo, impiegato marittimo di Messina, annuncia il suo voto di protesta: «Sono stanco di scegliere tra la padella e la brace: stavolta scelgo i Cinquestelle», dice sbadigliando. «Diamo una chance a questi ragazzi: forse sono inesperti, ma di sicuro non sono banditi come a destra e sinistra». Poi abbozza una riflessione sul post voto: «Non mi dispiacerebbe un’alleanza tra Di Maio e la Lega». L’operazione di «denordizzazione» di Salvini sembra riuscita. Il capotreno, di Napoli, attraversa il corridoio e intercetta il discorso: «Quelli del M5S meritano una chance, sono gli unici puliti». Li voterà? «No, per fortuna sarò in servizio: mi tolgo dall’imbarazzo di votare». Avrebbe scelto i Cinquestelle anche Federico, piccolo imprenditore di 49 anni originario di Torino, ma da qualche tempo in Bulgaria. «Torno solo per lavoro – racconta -. Vista dall’estero, l’Italia è desolante. Comunque avrei scelto il M5S come quando ho votato Appendino: gli altri sono impostori». I grillini non hanno deluso dove hanno amministrato? «No. Sono stati boicottati e infangati sia a Roma sia a Torino».
A volte l’apatia per la politica si trasforma in astio. «Non avevano promesso di tagliarsi tutti lo stipendio?», chiede a denti stretti Giuseppe, 38 anni, di Rosarno. Sei anni fa faceva la guardia giurata al porto di Gioia Tauro, ma fu indagato e licenziato per associazione per delinquere di stampo mafioso. «Dopo un anno mi hanno assolto, ma nessuno mi ha più dato un lavoro». È andato a Chioggia, dove ha aperto una pizzeria. «Al Sud non mi vedranno più, sono sceso solo per il funerale di mio padre. Da anni non voto: i politici sono tutti uguali. La ‘ndrangheta? Almeno dava da lavorare...».
Sconfitti
A sorprendere sono i giovani. Molti sembrano sconfitti in partenza. Gabriele, fiorentino di 21 anni, è chiamato per la prima volta a votare per le elezioni politiche. «Starò a casa. In tv sento solo slogan urlati e su Facebook leggo fake news. Il populismo sta allontanando noi giovani dalla politica».
Quando si intravede il cartello Torino Porta Nuova il capotreno, salito a Bologna, si congeda: «Quando ero ragazzo c’erano le sezioni giovanili dei partiti e una partecipazione entusiasta alla politica. Oggi vedi i ragazzi già spenti e ti cadono le braccia. Vincerà il partito degli astenuti».